C’era grande attesa per la visita di Papa Francesco al Congresso Europeo di Cardiologia appena concluso a Roma. Durate il grande appuntamento con il Pontefice ha rivolto parole di ringraziamento ai cardiologi per l’impegno quotidiano con cui assistono i malati, ma anche un forte richiamo alla scienza a guardare l’uomo nella sua totalità affinché “non ci siano ‘scartati’ nella vita umana e nella pienezza della vita umana”.

 

 

Ecco il testo del messaggio integrale del Pontefice all’assemblea del Congresso ESC.

 

"Gentili Signori e Signore, buongiorno!

Ho accolto con piacere l’invito della Presidenza della Società Europea di Cardiologia ad essere qui con voi, in occasione di questo Congresso mondiale che vede raccolti cardiologi da diversi Paesi. Un ringraziamento particolare al Professor Fausto Pinto per le parole di benvenuto. Nella persona del Presidente intendo ringraziare tutti voi per l’impegno scientifico di queste giornate di studio e di confronto - è tanto importante confrontarsi - ma soprattutto per la dedizione nei confronti di tanti malati. E’ una sfida confrontarsi con ogni malato.

 

Voi vi occupate della cura del cuore. E quanta simbologia si nasconde in questa parola e quante attese vengono riposte in questo organo umano! Tra le vostre mani passa il centro pulsante del corpo umano, pertanto la vostra responsabilità è grande! Sono certo che trovandovi di fronte a questo libro della vita, che porta in sé ancora tante pagine da scoprire, voi vi accostate con trepidazione e senso di timore.

 

Il Magistero della Chiesa ha sempre affermato l’importanza della ricerca scientifica per la vita e la salute delle persone. Anche oggi la Chiesa non solo vi accompagna in questo cammino così arduo, ma se ne fa promotrice e intende sostenervi, perché comprende che quanto è dedicato all’effettivo bene della persona è pur sempre un’azione che proviene da Dio. La natura in tutta la sua complessità, e anche la mente umana, sono creature di Dio. Lo studioso può e deve investigarle, sapendo che lo sviluppo delle scienze filosofiche ed empiriche e delle competenze pratiche che servono il più debole e malato è un servizio importante che si inscrive nel progetto divino. L’apertura alla grazia di Dio, fatta tramite la fede, non ferisce la mente, anzi la spinge ad andare avanti, a una conoscenza della verità più ampia e utile per l’umanità.

 

 

Sappiamo, tuttavia, che anche lo scienziato nella sua scoperta non è mai neutrale. Egli porta con sé la sua storia, il suo modo di essere e di pensare. Per ognuno esiste la necessità di avere una sorta di purificazione che, mentre allontana le tossine che avvelenano la ragione nella sua ricerca di verità e di certezza, induce a guardare con maggior intensità all’essenza delle cose. Non possiamo negare, infatti, che la conoscenza, anche la più precisa e scientifica, ha bisogno di progredire facendo le domande e trovando le risposte sull’origine, il senso e la finalità della realtà, uomo incluso. Tuttavia, le sole scienze, naturali e fisiche, non bastano per comprendere il mistero che ogni persona contiene in sé. Se si guarda all’uomo nella sua totalità – permettetemi di insistere su questo tema – si può avere uno sguardo di particolare intensità ai più poveri, ai più disagiati ed emarginati perché anche a loro giunga la vostra cura, come anche l’assistenza e l’attenzione delle strutture sanitarie pubbliche e private. Dobbiamo lottare perché non ci siano “scartati” in questa cultura dello scarto che viene proposta.

 

Con la vostra preziosa attività voi contribuite a guarire il corpo malato e, al tempo stesso, avete la possibilità di verificare che ci sono leggi impresse nella stessa natura che nessuno può manomettere ma solo “scoprire, usare e ordinare” perché la vita corrisponda sempre più alle intenzioni del Creatore (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 36). Per questo è importante che l’uomo di scienza, mentre si misura con il grande mistero dell’esistenza umana, non si lasci vincere dalla tentazione di soffocare la verità (cfr Rm 1,18).

 

Vi rinnovo il mio apprezzamento per il vostro lavoro - anch’io sono stato nelle mani di alcuni di voi - e chiedo al Signore di benedire la ricerca e la cura medica, in modo che a tutti possa giungere il sollievo dal dolore, una maggior qualità della vita e un accresciuto senso di speranza, e quella lotta di tutti i giorni perché non ci siano “scartati” nella vita umana e nella pienezza della vita umana. Grazie tante".

 

Papa Francesco ai partecipanti al Giubileo degli Operatori di Misericordia

 

Parole importanti sulle quali riflettere quelle pronunciate a Papa Francesco ala vigilia della canonizzazione di Madre Teresa, durante il Giubileo degli Operatori di Misericordia. Per questo pubblichiamo qui di seguito il suo discorso.

 

“Abbiamo ascoltato l’inno all’amore che l’Apostolo Paolo scrisse per la comunità di Corinto, e che costituisce una delle pagine più belle e più impegnative per la testimonianza della nostra fede (cfr 1 Cor 13,1-13). Quante volte san Paolo ha parlato dell’amore e della fede nei suoi scritti; eppure in questo testo ci viene offerto qualcosa di straordinariamente grande e originale. Egli afferma che, a differenza della fede e della speranza, l’amore «non avrà mai fine» (v. 8): è per sempre.

 

Questo insegnamento deve essere per noi di una certezza incrollabile; l’amore di Dio non verrà mai meno nella nostra vita e nella storia del mondo. E’ un amore che rimane sempre giovane, attivo, dinamico e attrae a sé in maniera incomparabile. E’ un amore fedele che non tradisce, nonostante le nostre contraddizioni. E’ un amore fecondo che genera e va oltre ogni nostra pigrizia. Di questo amore noi tutti siamo testimoni.

 

L’amore di Dio, infatti, ci viene incontro; è come un fiume in piena che ci travolge senza però sopprimerci; anzi, al contrario, è condizione di vita: «Se non ho l’amore non sono nulla» - dice san Paolo (v. 2). Più ci lasciamo coinvolgere da questo amore e più la nostra vita si rigenera. Dovremmo veramente dire con tutta la nostra forza: sono amato, perciò esisto! L’amore di cui parla l’Apostolo non è qualcosa di astratto e di vago; al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta in prima persona.

 

La forma più grande ed espressiva di questo amore è Gesù. Tutta la sua persona e la sua vita non è altro che la manifestazione concreta dell’amore del Padre, fino a giungere al momento culminante: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Questo è amore! Non sono parole, è amore. Dal Calvario, dove la sofferenza del Figlio di Dio raggiunge il suo culmine, scaturisce la sorgente dell’amore che cancella ogni peccato e che tutto ricrea in una vita nuova.

 

Portiamo con noi sempre, in maniera indelebile, questa certezza della fede: Cristo «mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Gal 2,20). Questa è la grande certezza: Cristo mi ha amato, e ha consegnato sé stesso per me, per te, per te, per te, per tutti, per ognuno di noi! Niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio (cfr Rm 8,35-39). L’amore, dunque, è l’espressione massima di tutta la vita e ci permette di esistere!

 

Davanti a questo contenuto così essenziale della fede, la Chiesa non potrebbe mai permettersi di agire come fecero il sacerdote e il levita nei confronti dell’uomo lasciato mezzo morto per terra (cfr Lc 10,25-36). Non si può distogliere lo sguardo e voltarsi dall’altra parte per non vedere le tante forme di povertà che chiedono misericordia. E questo voltarsi dall’altra parte per non vedere la fame, le malattie, le persone sfruttate…, questo è un peccato grave! E’ anche un peccato moderno, è un peccato di oggi!

 

Noi cristiani non possiamo permetterci questo. Non sarebbe degno della Chiesa né di un cristiano “passare oltre” e supporre di avere la coscienza a posto solo perché abbiamo pregato o perché sono andato a Messa la domenica. No. Il Calvario è sempre attuale; non è affatto scomparso né rimane un bel dipinto nelle nostre chiese.

 

Quel vertice di com-passione, da cui scaturisce l’amore di Dio nei confronti della miseria umana, parla ancora ai nostri giorni e spinge a dare sempre nuovi segni di misericordia. Non mi stancherò mai di dire che la misericordia di Dio non è una bella idea, ma un’azione concreta. Non c’è misericordia senza concretezza. La misericordia non è un fare il bene “di passaggio”, è coinvolgersi lì dove c’è il male, dove c’è la malattia, dove c’è la fame, dove ci sono tanti sfruttamenti umani.

 

E anche la misericordia umana non diventa tale – cioè umana e misericordia – fino a quando non ha raggiunto la sua concretezza nell’agire quotidiano. L’ammonimento dell’apostolo Giovanni rimane sempre valido: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1 Gv 3,18). La verità della misericordia, infatti, si riscontra nei nostri gesti quotidiani che rendono visibile l’agire di Dio in mezzo a noi.

 

Fratelli e sorelle, voi qui rappresentate il grande e variegato mondo del volontariato. Tra le realtà più preziose della Chiesa ci siete proprio voi che ogni giorno, spesso nel silenzio e nel nascondimento, date forma e visibilità alla misericordia. Voi siete artigiani di misericordia: con le vostre mani, con i vostri occhi, con il vostro ascolto, con la vostra vicinanza, con le vostre carezze… artigiani! Voi esprimete il desiderio tra i più belli nel cuore dell’uomo, quello di far sentire amata una persona che soffre.

 

Nelle diverse condizioni del bisogno e delle necessità di tante persone, la vostra presenza è la mano tesa di Cristo che raggiunge tutti. Voi siete la mano tesa di Cristo: avete pensato questo? La credibilità della Chiesa passa in maniera convincente anche attraverso il vostro servizio verso i bambini abbandonati, gli ammalati, i poveri senza cibo e lavoro, gli anziani, i senzatetto, i prigionieri, i profughi e gli immigrati, quanti sono colpiti dalle calamità naturali… Insomma, dovunque c’è una richiesta di aiuto, là giunge la vostra attiva e disinteressata testimonianza.

 

Voi rendete visibile la legge di Cristo, quella di portare gli uni i pesi degli altri (cfr Gal 6,2; Gv 13,34). Cari fratelli e sorelle, voi toccate la carne di Cristo con le vostre mani: non dimenticatevi di questo. Voi toccate la carne di Cristo con le vostre mani. Siate sempre pronti nella solidarietà, forti nella vicinanza, solerti nel suscitare la gioia e convincenti nella consolazione. Il mondo ha bisogno di segni concreti di solidarietà, soprattutto davanti alla tentazione dell’indifferenza, e richiede persone capaci di contrastare con la loro vita l’individualismo, il pensare solo a sé stessi e disinteressarsi dei fratelli nel bisogno.

 

Siate sempre contenti e pieni di gioia per il vostro servizio, ma non fatene mai un motivo di presunzione che porta a sentirsi migliori degli altri. Invece, la vostra opera di misericordia sia umile ed eloquente prolungamento di Gesù Cristo che continua a chinarsi e a prendersi cura di chi soffre. L’amore, infatti, «edifica» (1 Cor 8,1) e giorno dopo giorno permette alle nostre comunità di essere segno della comunione fraterna.

 

E parlate al Signore di queste cose. Chiamatelo. Fate come ha fatto Sister Preyma, come ci ha raccontato la suora: ha bussato alla porta del tabernacolo. Così coraggiosa! Il Signore ci ascolta: chiamatelo! Signore, guarda questo… Guarda tanta povertà, tanta indifferenza, tanto guardare dall’altra parte: “Questo a me non tocca, a me non importa”. Parlatene con il Signore: “Signore, perché? Signore, perché? Perché io sono tanto debole e Tu mi hai chiamato a fare questo servizio? Aiutami, e dammi forza, e dammi umiltà”. Il nocciolo della misericordia è questo dialogo con il cuore misericordioso di Gesù.

 

Domani, avremo la gioia di vedere Madre Teresa proclamata santa. Lo merita! Questa testimonianza di misericordia dei nostri tempi si aggiunge alla innumerevole schiera di uomini e donne che hanno reso visibile con la loro santità l’amore di Cristo. Imitiamo anche noi il loro esempio, e chiediamo di essere umili strumenti nelle mani di Dio per alleviare la sofferenza del mondo e donare la gioia e la speranza della risurrezione. Grazie.

 

E prima di darvi la benedizione, vi invito tutti a pregare in silenzio per tante, tante persone che soffrono; per tanta sofferenza, per tanti che vivono scartati dalla società. Pregare pure per tanti volontari come voi, che vanno incontro alla carne di Cristo per toccarla, curarla, sentirla vicina. E pregare pure per tanti, tanti che davanti a tanta miseria guardano da un’altra parte e nel cuore sentono una voce che dice loro: “A me non tocca, a me non importa”. Preghiamo in silenzio.

 

Documentazione

Questionario sulla prevenzione del rischio clinico nelle strutture associate all'Aris.

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