Indubbiamente il nostro è un Paese da ricomporre. Quantomeno da riunire. Sarebbe allora meglio abbandonare il linguaggio dell’invettiva e ritrovare le parole dell’argomentazione e della ragionevolezza. Da parte di tutti gli attori, politici e non, della comunità nazionale.
Lo diciamo con la responsabilità di chi opera quotidianamente nel campo della salute e lo fa sulla base di una vocazione e di carismi che ci insegnano a privilegiare, come chiave di lettura del nostro comune vivere civile, la sofferenza, il dolore fisico e morale, il rischio di emarginazione e di solitudine di chi versa in una condizione di malattia e pertanto evoca, in modo spontaneo ed istintivo, quei sentimenti di attenzione, di vicinanza, di solidarietà che non appartengono solo al vissuto individuale di ciascuno, ma, opportunamente mediati entro la dimensione collettiva e pubblica della comunità civile, possono indicare e sostenere percorsi di dialogo, di ricerca e di costruzione condivisa del bene comune, pur nella legittima, anzi doverosa articolazione dialettica delle prese di posizione che, tutte insieme, arricchiscono il comune patrimonio rappresentato dal pluralismo culturale e politico del nostro Paese.