Migliaia di emendamenti accompagnano l’approdo nell’aula di Montecitorio del disegno di legge sul cosidetto “fine vita”, previsto per il prossimo 30 gennaio.
Testimoniano – come, del resto, le dichiarazioni di molti esponenti politici di ogni schieramento – un clima ancora surriscaldato ed inquieto, per nulla sereno.
Si avverte una tensione che poco si addice alla trattazione di un argomento che - a qualunque soluzione legislativa si finisca per giungere - è dotato di una formidabile capacità pervasiva sul piano antropologico, eppure, nel contempo, pur sempre ed irrevocabilmente consegnato alla coscienza di ciascuno, cioè ad un dominio personale, esclusivo ed intimo che la “legge positiva” può solo, tutt’al più, lambire.
Che il diritto di scegliere come e quando porre termine alla propria vita sia un supremo atto di libertà non è vero.
Si tratta, tutt’al più, di una facoltà di autodeterminazione che allude ad una separatezza autoreferenziale, laddove la libertà è, al contrario, relazionale ed espansiva.
Stona soprattutto la strumentale inclinazione ideologica di chi vorrebbe assumere il disegno di legge in discussione come pozione adatta ad assuefare via via il palato degli italiani e prepararlo a sopportare più avanti il sapore acre del suicidio assistito.
Di questo argomento si sta occupando da tempo il Forum della pastorale socio-sanitaria costituito, in ambito della CEI, dalle diverse Associazioni che riuniscono istituzioni sociosanitarie di ispirazione cristiana – tra le quali anche l'ARIS. Il Forum è presente nel dibattito con la presentazione di una serie di emendamenti formulati dopo aver letto il testo e su richiesta degli stesi estensori.