Il progresso in medicina è costante ed accelerato. Nel giro dei pochi anni che si possono contare sulle dita di una mano, o forse meno, succede non di rado che le prospettive terapeutiche verso determinate malattie aprano scenari nuovi e del tutto inediti in quanto ad efficacia della cura.
Ha dunque senso, nel quadro delle cosidette DAT, congelare - e porre come assolutamente vincolanti per il medico - le disposizioni attestate in sede di “testamento biologico” in un tempo, nella vita del soggetto, magari anticipato di molti anni rispetto all’eventuale evento patologico che le attualizza e, per di più, corrispondente ad una fase storica ancora ignara delle nuove potenzialità terapeutiche?
E’ una domanda stringente che si coglie, tra le altre, dalle numerose prese di posizione di autorevoli clinici di quattro Facoltà Mediche romane (Sapienza-Tor Vergata-Gemelli-Campus Biomedico).
Come è possibile che da un altro fronte – non meno qualificato professionalmente e dove non mancano i cultori appassionati di ogni avanzamento scientifico e biotecnologico – non si rilevi altrettanto questa contraddizione insita nel disegno di legge attualmente all’esame del Parlamento?
Si tratta di ricercare, con onestà intellettuale, risposte adeguate, che diano compiutezza prima di tutto al senso della nostra umanità, che non si esaurisce sempre nel qui ed ora, ma che il più delle volte ci travalica.
Gli interrogativi oltre
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