Il diritto alla obiezione di coscienza altro non è che quell’assunzione piena e responsabile della propria libertà interiore che ne giustifica ogni altro, personale o sociale che sia, tutti li compendia e li rende concretamente perseguibili, piuttosto che meramente dichiarativi.
Segnala la facoltà d’essere autenticamente se stessi, l’attitudine ad una trasparenza nei confronti del proprio “io” che ne garantisca altrettanta nei confronti delle persone che incontriamo nei mille percorsi della vita.
Dovrebbero saperlo anche all’ONU, anziché lamentare che nel nostro Paese la grande prevalenza di ginecologi obiettori ostacolerebbe – cosa, peraltro, smentita dal Ministero della Salute – l’applicazione della legge 194.
Se mai il fatto che gli obiettori siano almeno il 70% in Italia dovrebbe far riflettere sul sentimento comune di una collettività che anche la presa di posizione, sempre personale e non ideologica, di tanti operatori sanitari qualificati sta a testimoniare.
Sarebbe davvero drammatico, peraltro, solo immaginare che le cose possano stare diversamente; ritenere, cioè, che, in qualche modo, il diritto positivo possa conculcare la libertà di coscienza di un cittadino, in nome di un ordinamento legislativo che, a quel punto, configurerebbe le ombre e le memorie infauste di uno “Stato etico”