Da una situazione incresciosa quanto incredibile (tremila emendamenti proposti per un disegno di legge)   l’iter parlamentare del ddl sulle  "Disposizioni anticipate di trattamento” si trasforma ora nell’ennesima sconfitta della democrazia  parlamentare:  le già paventate dimissioni da relatrice della senatrice Emilia De Biasi si sono concretizzate e ora il contestatissimo disegno di legge  (Dat) può  passare  all'esame dell'Aula per una presumibile rapida approvazione così come licenziato dalla Camera.

Toni trionfalistici quelli  del vice presidente della commissione sanità  Romani: “Abbiamo lavorato bene e velocemente in commissione Sanità svolgendo tutte le audizioni del caso, diversamente dai nostri detrattori alla Camera che trattengono i provvedimenti che arrivano da Palazzo Madama anche fino a due anni”.  Così si potrà fare in modo che  “le nostre volontà – è il motivo dichiarato della soddisfazione –  siano  rispettate e non sia il medico che ci tiene in cura ad aver l'ultima parola sui trattamenti più o meno utili o invasivi volti a tenerci in vita".  Invitiamo per lo meno a riflettere  quest’ultima  frase “ trattamenti più o meno utili o invasivi volti a tenerci in vita”. Ma di cosa parliamo?.

È vero che migliaia di emendamenti non facilitano il lavoro parlamentare di reale approfondimento e di affinamento dei testi legislativi, ma pur ci sono emendamenti ed emendamenti, non tutti della stessa natura e della stesa portata. E non mancano gli strumenti regolamentare per entrare nel merito e distinguere.

È più comodo l'uso e l'abuso del canguro? 
O non corriamo il rischio di travalicare d'un balzo le regole di fondo di una democrazia effettiva, rappresentativa e "parlamentare", cioè dialogica, dialettica, argomentata e discorsiva, tanto più irrinunciabile quando l'argomento è delicato e tale da interrogare non le convenienze di parte, ma la reale e personale coscienza di ogni parlamentare?

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