“I luoghi della sofferenza: scuola, famiglia, strutture, solitudine “ è il tema che è stato affidato alla relazione che il Presidente dell’ARIS Padre Virginio Bebber, ha tenuto mercoledì mattina nella sede del XX Convegno Nazionale sulla Pastorale della Salute, organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana in questi giorni a Roma. Padre Bebber ha inizialmente ricordato come un tempo, non molto lontano, il luogo della sofferenza veniva identificato con l’ospedale. Oggi purtroppo i luoghi della sofferenza si sono moltiplicati: non più soltanto le corsie di un istituto di cura ma lo diventa la scuola, laddove il bullismo è diventato fenomeno incontrastato che assume forme sempre nuove e direi più nefastamente evolute; luoghi di sofferenza diventano le famiglie, o ciò che resta di loro, le prime a soffrire per quanto le incancrenisce quando l’amore viene meno e regna l’egoismo anche al di là dell’amore e della comprensione dovuta ai figli, o quando la pietas perde il suo senso e il suo valore e l’anziano non autosufficiente e malandato diventa scomodo e dunque da abbandonare; luogo di sofferenza diventa la carrozzina quando non trova nessuno disposto a spingerla in avanti o ad aiutarla aiuta a superare l’ignobile ostacolo frapposto alla sua libertà di andare comunque avanti; luogo di sofferenza diventa la strada con i suoi letti di cartone carichi di sofferenza vera, fisica certamente ma anche e soprattutto spirituale; luoghi di sofferenza diventano i barconi che solcano il mare con il loro carico di disperazione in viaggio verso l’incognito, spesso nemico e violento; luoghi di sofferenza diventano le carceri dove il rimorso macera l’anima quando non lascia spazio al livore e all’odio indomabile.
Ma prendere atto di questa realtà, ha sottolineato il Presidente, non serve a nulla se non si mette in campo un’azione concreta per venire incontro all’umanità sofferente. “ C’è bisogno in sostanza – ha proposto il Presidente AQRIS - di aprirsi al territorio in un sistema integrato che coinvolga tutte le istituzioni cattoliche che di quel territorio costituiscono l’anima portante. Bisogna insomma costruire una vera e propria rete di solidarietà cattolica che funzioni come un cammino sempre aperto, lungo il quale si trovino a passare ogni istante dei Buoni Samaritani, pronti a caricarsi sulle spalle l’uomo sofferente disteso sul ciglio della strada, per portarlo laddove possa trovare assistenza e cure amorose”.
“Io credo – ha concluso - che questo ruolo potrebbe essere ben interpretato da quel valoroso esercito di volontari che frequenta i nostri luoghi istituzionali. La sofferenza di uno, qualunque essa sia, deve diventare “notizia” per la comunità affinché sia essa stessa in grado di mettere in campo tutte le sue energie per soccorrere chi ha bisogno. Io vedo proprio nella parrocchia il centro di smistamento di questa catena integrata di solidarietà. E’ nelle sue corde e può farlo. Se c’è bisogno di aiuto e di collaborazione che tutti siano pronti a scendere in campo”.