La cicala e la formica è una favola famosissima, scritta da Esopo e arrivata a noi grazie a Jean de La Fontaine. La morale della favola ci insegna che se si vuole arrivare preparati ad affrontare i momenti difficili, è necessario prima impegnarsi.

Seguendo le cronache di questi ultimi giorni viene spontaneo chiedersi come avrebbe reagito il grande Esopo di fronte alle sue celebrate formiche, vedendole muoversi indisturbate su un letto d’ospedale e andare a ricoprire  letteralmente il corpo della paziente distesa su quel materasso e tra quelle lenzuola, quasi tratturo dei piccoli laboriosi insetti. Certamente non avrebbe mosso critiche alle protagoniste della sua opera; anzi  avrebbe sicuramente colto l’occasione per sottolineare la morale del suo racconto.  Sta di fatto che le formichine - quelle raccontate da Esopo e riproposte da  Jean de la Fontaine  come quelle che hanno infestato il letto dell’ospedale partenopeo - non hanno colpa alcuna: seguono il loro istinto e vanno  a cercare cibo in ogni angolo, soprattutto laddove ce n’è in abbondanza e non è sorvegliato. Lo fanno per assicurare il loro futuro e quello della comunità cui appartengono.

Cosa che certo non hanno fatto quegli  operatori sanitari che non sono stati in grado di accorgersi, per palesata negligenza, e per ben tre giorni, che una loro paziente  era stata ricoperta dalle formiche. Correi di questo aberrante disservizio ospedaliero sono i responsabili delle manutenzioni e delle procedure che assicurano la pulizia e l’igiene nei reparti di degenza. Giobbe Covatta direbbe: “ basta poco che ce vo’” Eppure quel poco non si fa per puro menefreghismo collettivo e  soprattutto quando il servizio al malato non si accompagna ad un vero atto di amore e di condivisione per lo stato di sofferenza.

Finché ci saranno strutture ospedaliere fatiscenti, finché ci saranno operatori sanitari, a qualsivoglia livello professionale, che hanno perso di vista le finalità umane e socio culturali del loro  lavoro, le formiche continueranno a passeggiare sui letti e  sui corpi dei pazienti perché troveranno sempre facili accessi e soluzioni glucosate che lasciano gocce zuccherate sul paziente con la flebo attaccata.

Abbiamo la “presunzione” di credere che nelle nostre Istituzioni ciò non si potrebbe mai verificare, non fosse altro perché la centralità dell’uomo, dell’uomo malato soprattutto, l’amore e la condivisione davanti alla sofferenza sono parti integranti della nostra identità cristiana. Ma se mai ciò per assurdo dovesse accadere saremmo noi i primi a denunciare i responsabili, a qualunque livello.

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