Vorremmo esserci. Vorremmo poter far parte di quell’esercito che si sta schierando per fronteggiare il nemico comune che, mai scomparso dalla linea di fuoco, sta affilando le armi per sferrare un nuovo drammatico assalto, mentre già si contano morti e feriti gravi. Ma abbiamo paura di non poterlo fare perché chi muove le fila strategiche per un’efficace risposta sul campo, va avanti come se non esistessimo.

   Giustamente si stanno dando un gran da fare per riaprire ospedali improvvisati, allestire tendoni per accogliere pazienti, assumere altro personale medico e paramedico, dotare le strutture pubbliche di nuovo materiale tecnologico e quant’altro.  Continuano a parlare di miliardi di euro messi sul tavolo per la sanità e certo da qualche parte questi soldi arrivano. C’è da chiedersi, fino a che siamo in tempo per farlo, se questi soldi vengano impiegati per coprire effettivamente il fabbisogno di tutto il territorio.  A noi, piccolo ma non certo inutile comparto della sanità del Paese, qualche dubbio rimane. Si stanno dimenticando, ancora una volta, della potenzialità che potrebbero rappresentare le decine e decine di migliaia di posti letto disponibili nella sanità privata accreditata. Solo le nostre strutture ARIS contano ben oltre 30 mila posti letto in oltre 270 strutture, molte delle quali riconosciute eccellenze a livello nazionale ed internazionale. Siamo stati in prima linea nei mesi difficili e ci è costato tantissimo; eppure, a parte qualche laconico riconoscimento, ci siamo dovuti subire gogne mediatiche, esposti come belve affamate pronte a succhiare denaro pubblico in cambio di nulla.

Come tutto il Paese abbiamo sofferto e pagato prezzi altissimi in termini di vite umane sacrificate; ma a nessuno è venuto in mente di pensare che alle spalle non abbiamo avuto altri se non le nostre congregazioni, i nostri enti religiosi che non hanno esitato a rispondere “pronti” ai pur tardivi appelli. Ci hanno messo del loro, di quello che hanno potuto realizzare con il lavoro quotidiano di migliaia di persone; poi quel lavoro quotidiano ce lo hanno bloccato, chiudendo così l’unica fonte di sostentamento. In cambio ci hanno offerto “tariffe Covid” come per il pubblico. Abbiamo messo a disposizione, strutture, posti letto, medici, personale paramedico, persino volontari. Ancora non abbiamo ricevuto un benchè minimo compensamento. Per di più ci hanno indotto al rinnovo del contratto per il nostro personale, lecito e giustissimo ma difficilmente sostenibile in questo momento di crisi profonda, illudendoci con una compartecipazione al 50% delle regioni, cosa che, per la quasi totalità delle regioni, è ancora al di là da venire e non si capisce se mai avverrà. Abbiamo chiesto spiegazioni e aiuto a tutti, dal Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute, al Presidente della Conferenza delle Regioni. Nessuno si è fatto ancora vivo.

Come potremmo essere ora in grado di sostenere questa seconda ondata dell’emergenza sanitaria al fianco e in supporto al pubblico? Dove sono i fondi messi a disposizione per riconvertire strutture o anche solo reparti covid per terapie subintensive, per terapie intensive, rianimazione? Come difendere le rsa? Sono cose che non ci riguardano?

Noi vorremmo esserci. Ma è chiaro che non ce la possiamo fare se continuano ad ignorarci. E a rimetterci saranno purtroppo ancora una volta i malati. Già si parla di “selezione” tra gli infettati da salvare e non è detto che questa pratica inumana non sia già subdolamante entrata in qualche protocollo assistenziale.

Vorremmo esserci e ci saremo. Ma alla fine il prezzo da pagare sarà alto, molto alto se qualcuno non si accorgerà finalmente che esistiamo e che abbiamo, con i doveri, almeno gli stessi diritti del servizio pubblico che supportiamo.

 

 

Documentazione

Questionario sulla prevenzione del rischio clinico nelle strutture associate all'Aris.

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