Con sentenza n. 22639 depositata in data 08.11.2016, la Corte di Cassazione ha ricordato che una cartella clinica incompleta fa scattare la prova presuntiva del nesso causale a sfavore del medico, qualora la condotta dello stesso sia astrattamente idonea a cagionare quanto lamentato. Ciò in quanto, per il principio di “prossimità alla prova” (ossia l’effettiva possibilità, per l’una o l’altra parte, di offrirla), una cartella clinica lacunosa non può gravare su chi ha diritto alla prestazione sanitaria, costituendo obbligo del sanitario tenerla in modo adeguato.In tal caso, quindi, scrive la Corte, per provare il nesso eziologico tra la condotta del medico e il danno lamentato, si può far ricorso alle presunzioni, come avviene nei casi in cui la prova non può essere fornita a causa di una condotta riferibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato.
Tale arresto della Corte di legittimità, peraltro, è in linea con la precedente esegesi della stessa Corte su tale materia, sol che si pensi alla precedente pronuncia di pochi mesi prima (sentenza 31/03/2016 n. 6209), con la quale il massimo Consesso civile aveva già osservato che la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni “in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato”; tali principi, scrive la Corte, costituiscono espressione del principio della “vicinanza alla prova” nel quadro della distribuzione degli oneri probatori e assumono speciale pregnanza in quanto sono destinati a operare non soltanto ai fini della valutazione della condotta del sanitario (ossia dell’accertamento della colpa), ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente.