Aspettare fino a due anni per rimuovere una protesi o curare l'alluce valgo, 18 mesi per la ricostruzione mammaria e 15 per ottenere la mammografia, fino a 10 mesi per la Tac e un anno per la risonanza magnetica. E nove mesi, il tempo che nasce un bimbo, per una visita oncologica o oculistica o odontoiatrica. Tutto questo mentre gli italiani hanno netta la percezione dei costi che crescono, dei ticket che esplodono, dell'assistenza a domicilio che diventa una rarità, del ricovero sempre più complicato, dei pronto soccorso invivibili, del degrado delle strutture. E l'uso dei ricoveri in intramoenia senza controlli o quasi con pazienti costretti a pagare o “girati” al privato. Ma anche il rapporto non esattamente semplice con i medici di famiglia e i pediatri. Tu chiamala se vuoi sanità solidale e universalistica. Perché l'accesso al Servizio sanitario nazionale sta diventando sempre più un lusso, sempre più un girone infernale. Non dappertutto, è chiaro. Ma dal Lazio in giù, pur con lodevoli eccezioni, la sanità pubblica diventa non raramente una polveriera. A tracciare un identikit del Ssn non esattamente tranquillizzante è il XIX Rapporto “Pit Salute” di Cittadinanzattiva-Tribunale dei diritti del malato, presentato a Roma. La cosa più assurda è la quasi completa inutilità dei lea, visto che per la stragrande maggioranza degli italiani è quasi impossibile accedere ai servizi sanitari in tempi decenti, anche nei casi di sospetto di malattie gravi.Inutile a questo punto anche parlare di prevenzione. Basta guardare le segnalazioni che gioungono quotidianamente al tdm. Quasi una segnalazione su tre (30,5%, rispetto al 25% del 2014) giunte al tdm nel 2015 ha riguardato le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche, per liste di attesa (54,5%), ticket (30,5%), intramoenia (8,4%). Se diminuiscono le segnalazioni di liste di attesa per esami diagnostici semplici, dal 36,7% del 2014 al 25,5% del 2015, crescono invece decisamente per gli interventi chirurgici (35,3% nel 2015 vs il 28,8% del 2014) e per le visite specialistiche (34,3% vs 26,3%). In testa, per segnalazioni su lunghi tempi di attesa negli interventi chirurgici, l'area di ortopedia, con il 30,7% delle segnalazioni (era il 27,5% nel 2014): per le visite specialistiche l'area oculistica (25% vs 18,5% nel 2014), per gli esami diagnostici, le prestazioni per le quali si attende di più sono le ecografie (18,8%, 24,1% nell'anno precedente). Nell'ambito delle segnalazioni sui ticket, a pesare sono soprattutto i costi per diagnostica e specialistica (41%), segue la mancata applicazione dell'esenzione (24,5%, nel 2014 era il 10,9%); i costi per le prestazioni a totale carico dei cittadini (20,8%, 17,8% nel 2014). In tema di assistenza domiciliare, quasi la metà delle segnalazioni (44,8%) riguarda le difficoltà di avere informazioni e la complessità nell'iter di attivazione; il 12,6% l'inesistenza del servizio o le lunghe liste di attesa. Per l'assistenza protesica e integrativa, il cittadino denuncia i lunghi tempi di attesa (47,6%), l'insufficienza delle forniture (26,2%), la scarsa qualità dei prodotti (26,2%). In particolare, le protesi oggetto di lamentala sono quelle per gli arti inferiori (24%), carrozzine, montascale, deambulatori (20%), scarpe ortopediche e apparecchi acustici (16%), busti e corsetti (4%). L'ambito dell'assistenza ospedaliera raccoglie il 10% delle segnalazioni. I maggiori disagi si registrano nell'emergenza urgenza con un dato che giunge nel 2015 al 62,8% rispetto al 50,7% del 2014. Si tratta soprattutto di lunghe attese al Pronto soccorso (45,3%) e di assegnazione del triage non trasparente (40,5%, +15% rispetto al 2014): ai cittadini che ricorrono al PS insomma sembra spesso di aspettare troppo, anche perché ben poche strutture spiegano come viene assegnato il codice e ancora meno quelle dotate di monitor per indicare i tempi di attesa per codice di priorità. Secondo ambito problematico è quello dei ricoveri (23,8%), per i quali il 45% segnala di aver “subito” il rifiuto del ricovero o perché ritenuto inappropriato dal personale medico o per tagli ai servizi; l'essere ricoverato in reparto inadeguato (un quinto delle segnalazioni). Le dimissioni ospedaliere raccolgono il 13,4% delle segnalazioni: sono ritenute improprie per il 65,4% dei cittadini, più di uno su quattro riscontra difficoltà nell'esser preso in carico dal territorio.