Prima riunione a Roma, presso gli uffici della Sede Nazionale ARIS, del gruppo di lavoro, coordinato da Nevio Boscariol, costituito per definire la posizione Aris sui decreti attuativi della legge Bianco-Gelli e comunicarne le risultanze al Mise, Ministero della Salute e Mef secondo l’art. 10 della stessa legge. Vi hanno partecipato: Porta per la Fondazione Don Gnocchi; Caputo per la Fondazione Poliambulanza; Spennagallo e Sperandinni per il gruppo Santo Stefano; Celani e Sosca per l’ospedale Miulli; Accardo per la Fondazione Evangelica Betania; Elisei per l’Istituto Serafico; collegati teleconferenza Federico per la Fondazione Maugeri e Ferrari per l’Istituto Toniolo. Presente l’avvocato Maurizio Hazan, esperto in Diritto delle Assicurazione.
Il concetto chiave della ormai famosa legge Gelli, come è conosciuta la legge sul rischio clinico, è, come noto, la ricostruzione della smarrita alleanza terapeutica medico-paziente. Non ne ha fatto mistero lo stesso Gelli presentandola si può dire in ogni angolo del comparto sanitario in Italia. Ne parlò naturalmente anche in sede ARIS. “Vogliamo riportare – disse - il “sistema” in equilibrio, rimettendo in asse il rapporto tra esercenti e pazienti e recuperando quell’alleanza terapeutica che da tempo pareva smarrita. Quindi alla fine quello che noi vogliamo cercare di ricostruire con questa legge è proprio una nuova alleanza tra chi si occupa di sanità, tra gli operatori della sanità e chi, tutti noi, cittadini, abbiamo bisogno di essere aiutati e assistiti nel momento fragile della nostra esistenza, cioè il momento della cura. Ecco perché la parte più importante di questa legge è il tema centrale della sicurezza delle cure e dell’azione preventiva che il sistema sanitario, in tutte le sue articolazioni, deve mettere in essere per garantire la sicurezza delle cure”. Si trattava, dunque, in sintesi, di porre il paziente al centro di un sistema di cure sicuro e ben presidiato, in cui l’esercente sanitario, divenuto spesso bersaglio, potesse tornare a lavorare in modo più sereno e dunque più efficiente, configurando nella giusta misura il regime di responsabilità ed evitando gli eccessi di una giurisprudenza quantomeno esasperata e creativa. D’altra parte però bisogna salvaguardare gli interessi dei soggetti danneggiati, garantendo, oltre alla sicurezza nei limiti più ampi possibili, il loro diritto al risarcimento, se e quando dovuto.
L’ARIS ha sposato in pieno questa accezione. E ora si si sta muovendo in questa prospettiva per far sì che i principi ispiratori della legge non si smarriscano dietro gli attesi decreti attuativi. Materia allo studio è soprattutto la distinzione operata dalla legge Gelli tra la responsabilità della struttura e quella dei “propri” esercenti. La struttura infatti, ai sensi dell’art. 7 comma 1, risponde contrattualmente di tutto ciò che avviene all’interno del suo “recinto” e dell’operato di tutti i soggetti di cui si avvalga, anche se scelti dal paziente ed ancorché non dipendenti.Il principio ispiratore è quello dell’ ubi commoda ibi incommoda, cioè chi guadagna su un’attività è giusto che se ne assuma anche i rischi che ne possono derivare. Gli esercenti interni alla struttura, invece, facendo parte della sua più ampia filiera organizzativa (ed essendo dunque eterodiretti) non risponderanno più in via contrattuale (come la giurisprudenza maggioritaria aveva sin qui sostenuto) ma soltanto ai sensi dell’art. 2043 c.c.. Un beneficio del quale non gode chi, pur operando all’interno della struttura, ha comunque sottoscritto accordi contrattuali diretti con il paziente che li ha scelti in base ad un precedente rapporto di fiducia. Ed è una distinzione importante perché implica forme di assicurazione diverse.
L’articolo 10, in relazione alla responsabilità contrattuale degli enti per danni provocati nell’esercizio dell’attività sanitaria latu sensu intesa, stabilisce infatti che le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private devono essere provviste di copertura assicurativa, o di altre analoghe misure, per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d'opera, anche per danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso le strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche e private, compresi coloro che svolgono attività di formazione, aggiornamento, sperimentazione, di ricerca clinica, in regime di libera professione intramuraria ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina. Dunque una formulazione amplissima, essendo riferita ai danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante all’interno delle strutture medesime, che lascia aperto qualche dubbio circa l’obbligo di coprire assicurativamente (e dunque di rispondere in proprio) anche dei danni causati nello svolgimento di servizi affidati in outsourcing; servizi la cui organizzazione ed il cui rischio d’impresa non dovrebbe che gravare sull’appaltatore, a pena di intermediazione di mano d’opera nel caso di intervento nell’organizzazione interna da parte del committente. Si tratta di un primo step al quale ne seguiranno altri per poter pianificare proposte serie e concrete da sottoporre al Ministero.