Audizione della Corte dei conti sul Def 2018 alle Commissioni speciali della Camera e del Senato. La Corte sostiene che la politica di riduzione della spesa di personale avrebbe dovuto essere accompagnata da una maggiore correlazione tra retribuzione accessoria e incrementi di produttività ed efficienza. Procede con difficoltà l’integrazione dell’assistenza primaria e delle cure specialistiche. Ampi margini di miglioramento devono ancora essere raggiunti nella continuità assistenziale in base alle condizioni e all’evoluzione delle malattie. Rischiano di aumentare la spesa dei cittadini e le diseguaglianze. Se infatti a la spesa per consumi intermedi, nonostante la crescita che ne ha portato l’incidenza sul prodotto nel 2017 all’8,2 contro l’8% preventivato, è prevista in discesa al 7,6% nel 2021, è quella delle amministrazioni locali a scendere di più: -4 decimi di punto nel quadriennio.
E “di particolare rilevanza su tali andamenti sono quelli relativi alla spesa sanitaria, di cui il Def fornisce un aggiornamento. Lo slittamento del rinnovo dei contratti del settore al 2018 è alla base della crescita nell’esercizio in corso, mentre si confermano le previsioni per il successivo biennio che scontano gli effetti attesi dalle misure correttive da ultimo disposte dalla Legge di Bilancio 2017. A fine periodo, la spesa sanitaria è prevista al 6,3 per cento del Pil, un livello registrato ad inizio anni 2000”.
L’analisi è della Corte dei conti ed è contenuta nell’audizione sul Def 2018 del presidente Angelo Buscema, svolta davanti alle Commissioni speciali della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Secondo i magistrati contabili, la politica di riduzione della spesa di personale avrebbe dovuto essere accompagnata da una riforma dell’assetto retributivo e ordinamentale del pubblico impiego, per raggiungere una maggiore correlazione tra retribuzione accessoria e incrementi di produttività ed efficienza dell’azione amministrativa.Ma “nel certificare l’ipotesi di accordo relativa al personale dei comparti funzioni centrali e scuola – osserva la Corte - il contratto collettivo stenta a esplicare appieno la funzione di divenire un importante strumento di recupero della produttività del settore pubblico. Con riferimento alla tornata 2016-2018 le risorse disponibili sono state, infatti, utilizzate pressoché esclusivamente per corrispondere adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione, nonostante la legge delega 15 del 2009 affidasse alla contrattazione collettiva il compito di procedere a una sostanziale ridefinizione delle componenti variabili da destinare prevalentemente a finalità realmente incentivanti e premiali”.
E nell’audizione la Corte ricorda anche i “segnali negativi” sottolineati nei suoi referti sui contratti che derivano dal mancato completamento della riforma della pubblica amministrazione, delineata dalla auspicata riforma della dirigenza pubblica”.