Chi è meno istruito ha una speranza di vita inferiore di circa tre anni rispetto a chi è più colto. E, neppure a dirlo, per chi vive nel Mezzogiorno d’Italia questo gap si somma allo svantaggio dei residenti che già perdono, indipendentemente dal grado di istruzione, un anno e mezzo nella scala “speranza di vita” . È quanto ha rilevato il primo “Atlante italiano delle disuguaglianze di mortalità per livello di istruzione”, realizzato dall’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà (INMP) in collaborazione con Istat.
“Tuttavia – rileva il volume - , per alcune cause di morte, come quelle tumorali, il rischio è più elevato nelle regioni settentrionali. D'altra parte in Campania si è osservata una speranza di vita alla nascita inferiore di due anni rispetto ai residenti nella maggior parte delle Regioni del centro-nord, sia tra gli uomini che tra le donne”.
Detto ciò il rapporto Inmp evidenzia come “le persone con basso titolo di studio hanno una probabilità di morte superiore del 35% tra gli uomini e del 24% tra le donne. La quota di mortalità attribuibile alle condizioni socio-economiche e di vita associate al basso titolo di studio è pari al 18% tra gli uomini e al 13% tra le donne. Nel Paese ci sono aree in cui la mortalità è più elevata rispetto alla media nazionale fino al 26% tra gli uomini e al 30% tra le donne, a parità di distribuzione per età e per titolo di studio. La mortalità cardiovascolare è più elevata nel Mezzogiorno, indipendentemente dal livello di istruzione. Al contrario, il gradiente di mortalità è crescente da Sud a Nord per i tumori nel loro insieme e per la maggior parte delle singole sedi tumorali. Di particolare interesse l’inedita osservazione di un gradiente Est-Ovest con maggiore mortalità nel Nord-Ovest e sulla costa tirrenica per molte cause, soprattutto malattie cerebrovascolari e tumori nel loro insieme”.
“In generale – rimarca l’Inmp - , quindi, in Italia le disuguaglianze su base geografica si intrecciano con quelle sociali su base individuale, sebbene le seconde non spieghino completamente le prime: il dato sembra suggerire l’esistenza di fattori di contesto in grado di generare differenze geografiche al netto delle differenze socioeconomiche nella salute. Tra i fattori da valutare sono senz’altro compresi quelli riferiti all’assistenza sanitaria erogata, in particolare per le note differenze territoriali in ambito di prevenzione”.
Le disuguaglianze di salute osservate richiamano quelle degli stili di vita e di alcuni fattori (attività fisica, fumo, sovrappeso/obesità) direttamente correlati ad alcune condizioni patologiche, prime fra tutte le malattie cardiovascolari.
“I risultati – rileva l’Atlante - stimolano, però, la necessità di approfondimenti sui fattori di esposizione, ad esempio ambientali e occupazionali, per condizioni patologiche a più lunga latenza di insorgenza, come alcuni tumori, per cui è più difficile osservare correlazioni ecologiche forti in senso causale”.
Necessità di maggior coordinamento tra le Istituzioni.
Il volume evidenzia infine come “la persistenza di sacche di disuguaglianza nella fruizione di tale diritto, con una capacità di risposta molto variabile tra le regioni, richiama la necessità di un maggior coordinamento e dello sviluppo di attività programmatorie più sistematiche ed efficaci. Politiche attive sulle disuguaglianze di salute possono determinare risparmi per il sistema nel suo complesso, per le ricadute sul fabbisogno assistenziale e sulla produttività, senza contare l’impatto positivo sui carichi di sofferenza delle persone più fragili. Pertanto, i risultati dell’Atlante, alla luce della centralità che il tema delle disuguaglianze ha assunto nel dibattito politico, in conseguenza della recessione di lunga durata e della conseguente crisi sociale degli ultimi anni, costituiscono una base per l’individuazione di politiche che ne contrastino gli effetti nel Paese”.