Premesso che, per quanto ci riguarda, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale" ed, altresi', come afferma Papa Benedetto, che il sesso e' " un dato originario della natura" e non " un ruolo sociale del quale si decide autonomamente", la questione relativa all'impiego farmacologico della triptorelina nella disforia di genere e' effettivamente più complessa di quanto non appaia a prima vista.
Non a caso, del resto, sollecita approfondimenti anche in ambito cattolico.
Ci sembra, anzitutto, opportuno che il tema approdi in Parlamento; più precisamente in Commissione Sanità a Palazzo Madama, anziché affidare un tema così delicato solo al pronunciamento di organi di consulenza o di carattere tecnico, pur prestigiosi, quali il Comitato Nazionale di Bioetica o l'Aifa.
(Ne', ovviamente, siamo di fronte ad un possibile intervento farmacologico che può essere lasciato alla libera prescrizione del medico, al di fuori di linee-guida scientificamente appropriate e rigorose.) Purche' il confronto parlamentare permetta, anzitutto, di focalizzare e circoscrivere la questione alla sua effettiva consistenza, piuttosto che offrire pretesti strumentali diretti, slabbrando volutamente il discorso, a sostenere ed enfatizzare le teorie "gender" in termini generali, cercando artatamente di promuovere - attraverso la sospensione "chimica" della pubertà - una sorta di limbo transessuale che, a sua volta, legittimi l' ideologia del sesso come opzione soggettiva.
Va chiarito, ad esempio, che la somministrazione di tale farmaco - ove fosse ritenuta indispensabile sotto un profilo clinico rigorosamente accertato e monitorato da un punto di vista interdisciplinare di particolare competenza e riferito ad ogni singolo caso - non potrebbe che essere ristretta ad un breve periodo, per una chiarificazione clinica e psicologica del quadro e non certo per promuovere una condizione permanente di indeterminatezza puberale, che nulla avrebbe a che vedere con il pieno rispetto di quella dignità della persona da cui non si può decampare.