“In questo evento di salvezza (l’incarnazione del Figlio di Dio) si rivela all’umanità….il valore incomparabile di ogni persona umana”.
“Sul riconoscimento di tale diritto (il valore sacro della vita umana) si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica”.
In queste due affermazioni che subito compaiono nel capoverso iniziale dell’Introduzione, si può dire sia già organicamente espressa la “ratio” - e, nel contempo, attestata la perenne attualità - dell’intera Evangelium Vitae, l’Enciclica di Papa Giovanni Paolo II°, della quale ricorre quest’anno il ventesimo anniversario.
Un anniversario che incrocia, ad un tempo, almeno tre eventi importanti nella vita della Chiesa: il Sinodo sulla Famiglia, anzitutto, il Convegno Ecclesiale di Firenze del prossimo novembre – “In Gesù Cristo un nuovo umanesimo” – e soprattutto l’ avvio dell’Anno Giubilare della Misericordia.
Eventi, ciascuno dei quali ha una attinenza stretta, del tutto particolare con la grande tematica che Giovanni Paolo II° affronta con la sua lettera enciclica: “ il valore incomparabile della vita umana”.
Una denuncia forte, esplicita, coraggiosa delle minacce che insidiano la vita che non ha i toni del lamento, meno che mai della rassegnazione, bensì della chiamata franca, rude alla responsabilità di ognuno.
E la riaffermazione del valore fondativo, inalienabile del diritto alla vita, in quanto condizione necessariamente previa all’affermazione di ogni altro diritto che concorra a configurare e promuovere la dignità incondizionata, originaria, ontologicamente fondata della persona.
“Infatti – come recita più avanti il testo dell’Enciclica – non ci può essere vera democrazia se non si riconosce la dignità di ogni persona e non se ne rispettano i diritti”.
Né “…..ci può essere vera pace, se non si difende e promuove la vita….”.
Infatti – continua la Evangelium Vitae – riprendendo il Messaggio di Paolo VI° per la Giornata Mondiale della Pace del 1977: “Ogni delitto contro la vita è un attentato contro la pace, specialmente se esso intacca il costume del popolo….., mentre dove i diritti dell’uomo sono realmente professati e pubblicamente riconosciuti e difesi, la pace diventa l’atmosfera lieta e operosa della convivenza sociale.”
Del resto: “In continuità con tutta la tradizione della Chiesa…….sulla necessaria conformità della legge civile con la legge morale”, Giovanni Paolo II° riprende, dalla “Pacem in terris”, la seguente affermazione di Papa Giovanni: “L’autorità è postulata dall’ordine morale e deriva da Dio. Pertanto quando le sue leggi o autorizzazioni sono in contrasto con quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la coscienza…….in tal caso, anzi, chiaramente l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso.”
Tommaso d’Aquino, non a caso – come ricorda ancora l’Enciclica – sostiene che “La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando, invece, una legge è contraria alla ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso, però, cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza…..Ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione di legge in quanto deriva dalla legge naturale. Se invece in qualche modo è in contrasto con la legge naturale, allora non sarà legge, bensì corruzione della legge.”
Sono parole chiare, dette con franchezza, riproposte con convinzione, rilanciate con la forza e la serenità di chi sa di doversi assumere la responsabilità ed il dovere di dare testimonianza alla verità ed è, nel contempo, consapevole di sfidare la mentalità corrente di un mondo che oggi – come vent’anni fa e fors’ anche più – non le comprende e le rifiuta; anzi, le denuncia spesso come una indebita intrusione, addirittura uno “scandalo”.
Dunque, la responsabilità delle leggi e delle istituzioni, a cominciare da quelle internazionali.
Ma non solo una responsabilità “collettiva”, quasi come una sorta di grembo ovattato in cui sfuma, si occulta, in qualche modo si autoassolve la responsabilità personale e diretta cui nessuno, singolarmente, può sottrarsi di fronte al valore incontrovertibile e fondativo della vita.
Piuttosto, il sentimento che pervade il testo è, anzitutto, si può dire, un “inno alla gioia” ed allo splendore della vita.
Infatti: “La generazione è la continuazione della creazione” afferma il Santo Padre, richiamando la “Lettera alle famiglie” del 2 febbraio 1994.
Ed ancora: “ quando dall’unione coniugale dei due nasce un nuovo uomo, questi porta con sé al mondo una particolare immagine e somiglianza di Dio stesso: nella biologia della generazione è inscritta la genealogia della persona”.
Non a caso, del resto, per quanto l’uomo sia chiamato “…..a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena….la vita nel tempo è condizione basilare….dell’intero e unitario processo dell’esistenza umana”.
Risuona l’ “adorante stupore” dei Salmi e lo sconcerto stupefatto di Giobbe (“Le tue mani mi hanno plasmato….”) per affermare – “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato” – che “l’esistenza di ogni individuo, fin dalle sue origini, è nel disegno di Dio”.
Affermazione, quest’ultima, su cui bisognerebbe sostare, per tacere e lasciarla sedimentare lentamente e poi risuonare nella coscienza smarrita del nostro tempo, per scoprirne l’enormità a dir poco rivoluzionaria; la sua forza dirompente e, nel contempo, semplice, da cui oggi istintivamente rifuggiamo forse perché non siamo più in grado di sopportarne il peso; la carica di libertà che ha in sé.
Ciò che dovrebbe scuotere la mentalità del nostro tempo che, pur superate le ideologie ottocentesche, ne va coltivando altre anche più pervasive, è questa linea retta che Giovanni Paolo traccia, con un sol tratto, tra la sacralità della vita umana e la “comunità politica”.
Un invito per le nazioni e per le culture del nostro tempo che, in qualche modo, prefigura, anche per le comunità civili, quell’”uscire” cui oggi Papa Francesco chiama, in modo particolare, la Chiesa.
Fuori ed oltre le opacità del pensiero a corto raggio – ed, anzi, ostentatamente, perfino quasi orgogliosamente “debole” - di un tempo storico che rischia oltre misura di ripiegarsi su se stesso, per scoprire, al contrario, quelle “periferie” che della vita piena sono la sorgente, il luogo in cui incontrare gli ultimi, gli escludi che dovremmo eleggere ad unità di misura del nostro agire politico e sociale.
E chi sono gli ultimi degli ultimi se non i bambini cui la vita è negata in radice?
Ci siamo mai chiesti, abbiamo mai condotto un’indagine non ideologicamente viziata che ci faccia capire se e come il dramma dell’aborto volontario, la banalizzazione della pratica abortiva diffusa abbia inciso - quasi osmoticamente, in maniera inapparente eppure sostanziale - sulla concezione di fondo di cosa sia la vita e, dunque, sull’ autocomprensione, su quella consapevolezza di sé dell’uomo che inevitabilmente disegna – che ne siamo consapevoli o meno – l’orizzonte valoriale di fondo che poi necessariamente orienta, anche quando non ce ne accorgiamo, i nostri gesti dell’accadere quotidiano e, dunque, lo stesso processo storico del nostro divenire?
Dalla promulgazione della Evangelium Vitae ( 25 marzo 1995) ad oggi se ne sono andati vent’anni. Eravamo alle soglie di un nuovo millennio carico di attese, di cui stiamo ora percorrendo i primi istanti eppure già viviamo una straordinaria accelerazione del tempo, come se i giorni si addensassero, compressi dall’incalzare degli eventi e delle trasformazioni che incombono.
Vent’anni che, ad un rapido sguardo retrospettivo, immediatamente si rivelano una stagione straordinariamente intensa, nel corso della quale in modo particolare proprio molte delle dinamiche che rappresentano il cuore dell’Enciclica hanno conosciuto sviluppi o piuttosto involuzioni che testimoniano il carattere profetico che l’ha ispirata.
La miseria, la fame, le malattie endemiche, l’iniqua distribuzione delle ricchezze, la violenza “insita prima ancora che nelle guerre in uno scandaloso commercio delle armi” ( che, non a caso, tuttora Papa Francesco è costretto a denunciare, fino a chiederne formalmente alle potenze del mondo l’abolizione), “la seminagione di morte che si opera con l’inconsulto dissesto degli equilibri ecologici” su cui ha dovuto tornare ancora, anche oggi il Santo Padre con la recentissima Enciclica “Laudato sì”: queste le “antiche dolorose piaghe” che attentano alla vita.
Cui “se ne aggiungono altre, dalle modalità inedite e dalle dimensioni inquietanti” che Giovanni Paolo cita espressamente, riprendendo integralmente una pagina di - “drammatica attualità” – della “Gaudium et Spes”, la Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, varata dal Concilio Vaticano II°: “Tutto ciò che è contro la vita stessa come ogni forma di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo ed alla mente, gli sforzi per violentare l’intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani o ancora le ignominiose condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ancor più che non quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore”.
Peraltro, almeno due eventi di cui, per quanto siano cronaca dei nostri giorni, pur già possiamo affermare la portata storica – il terrorismo internazionale di matrice islamista e le migrazioni epocali in corso; ancor meglio quella condizione di “terza guerra mondiale” a pezzi, di cui parla Papa Francesco – si inscrivono tra le “nuove minacce alla vita umana” su cui insiste la Evangelium Vitae.
Minacce che, per quanto articolate nelle mille forme che il testo dell’Enciclica enumera, rappresentano un tutt’uno, rispetto a cui la personale condotta morale di ciascuno, così come si esprime sia pure che nel contesto intimo delle singole famiglie, non è affatto inincidente in ordine a quel contesto di responsabilità collettiva e sociale che, secondo Giovanni Paolo II°, finisce per configurarsi in quella che chiama una “struttura di peccato”.
E cos’è, infatti, quest’ultima se non “peccato che si struttura”, cioè un processo di agglutinazione di comportamenti che, in maniera quasi impercettibile secondo la logica corrente delle nostre convenzioni mondane, eppure di tutto rilievo alla scala di un’economia sottile di cui non sappiamo afferrare la radice ultima, si cristallizzano in abiti mentali, in labirinti esistenziali e poi via via in ordinamenti civili che catturano la nostra libertà, generano cortocircuiti concettuali che ingannevolmente ammantano – ed è la cifra del nostro tempo che la Evangelium Vitae denuncia - i desideri individuali sotto la “nobile” figura dei cosidetti “diritti civili”?
Al contrario: “E’ di somma importanza riscoprire il nesso inscindibile tra vita e libertà”.
Ed ancora: “Non meno decisiva….è la riscoperta del legame costitutivo che unisce la libertà alla verità” ed è, quindi, “essenziale che l’uomo riconosca l’originaria evidenza della sua condizione di creatura che riceve da Dio l’essere e la vita come un dono e un compito: solo ammettendo questa sua nativa dipendenza nell’essere, l’uomo può realizzare in pienezza la sua vita e la sua libertà….”, riguadagnando anche nel nostro tempo storico – ed è il tema del “nuovo umanesimo” – la coscienza della “grandezza” e della “preziosità” della vita “anche nella sua fase temporale”.