Un piano che coinvolge otto macro aree di intervento, nelle quali sviluppare azioni a breve e medio periodo, in collaborazione con tutti gli enti e le categorie preposte, finanziate con 9,5 milioni di euro. Stiamo parlando di uno stanziamento ad hoc per l’assunzione di nuovi 30 nuovi ispettori Spisal che, secondo Zaia, dovrebbero controllare almeno 400 aziende in più rispetto all’anno precedente, 1200 in 3 anni.

"Circa una cinquantina di morti in un anno nei posti di lavoro, un primato che vorremmo discostarci", afferma il governatore Luca Zaia. Due giorni dopo il tragico incidente alle Acciaierie Venete di Padova, a Palazzo Balbi venivano annunciati gli "stati generali della sicurezza". Affermava il governatore "Sarà una riunione operativa per decidere chi deve fare cosa".

Ebbene, due mesi dopo gli "stati generali", è stato dato alla luce il "Piano strategico che migliorerà l’attività a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori". Ad aderire al predetto piano sono stati rispettivamente l’Ispettorato interregionale del lavoro, l’Inail, i Vigili del Fuoco, l’Ance, l’Anci e l’Upi, i sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil), le associazioni datoriali (Casartigiani, Cia, Cna, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confartigianato Imprese, Confcommercio, Confesercenti, Confindustria, Confimi Industria, Confprofessioni) e quelle centrali della cooperazione (Confcooperative e Legacoop). "Il piano strategico 2018-2020 - spiega Zaia - è un documento operativo, che indica chi fa che cosa: prevede nuove assunzioni di tecnici della prevenzione nelle Ulss, più formazione per gli operatori e nelle scuole, un dialogo diretto tra addetti alla prevenzione e al controllo e responsabili aziendali della sicurezza, più collaborazione tra aziende e organi di vigilanza, investimenti concreti nella cultura della prevenzione".

L’obiettivo è raggiungere procedure condivise e un sistema informativo regionale efficace. Il piano finanzia la formazione degli operatori pubblici e privati sulla salute e sicurezza dei lavoratori, in collaborazione con la Fondazione Scuola di sanità pubblica. Investimenti nella formazione saranno fatti anche nella scuola, nei percorsi di alternanza scuola-lavoro e dagli enti bilaterali delle categorie economiche. Entro l’anno sarà avviato il sistema di trasmissione telematica delle comunicazioni obbligatorie di apertura cantiere e dei piani di lavoro amianto, al fine di alleggerire gli oneri burocratici per le aziende e facilitare/coordinare l’attività ispettiva. La gestione amministrativa centralizzata agevolerà il sistema degli Spisal e l’ottimizzazione delle risorse.

Con l'approvazione pochi giorni fa in Consiglio regionale del "Piano triennale per la promozione e la valorizzazione dell'invecchiamento attivo", e lo stanziamento di 1 milione di euro per il 2018, si dà finalmente operatività alla legge omonima nata lo scorso anno sotto i migliori auspici. Legge in cui per la prima volta si è adottato un approccio trasversale, multidisciplinare e partecipativo nella creazione di un progetto che, prendendo atto del trend demografico, intervenisse con politiche atte a favorire la salute, il benessere, l'autonomia e la vita sociale della popolazione adulta e anziana. Ricordiamo che in Veneto gli over 60 superano il milione e nel 2060 il numero di anziani aumenterà del 50%. Non solo: 1/3 delle famiglie venete è composto da una sola persona, e metà di queste sono anziani over 64 anni, in prevalenza donne.

Essendo stati fra i protagonisti della concertazione, partecipando anche alla Consulta regionale che ha redatto il Piano triennale, i sindacati dei pensionati Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp del Veneto, insieme alle associazioni di volontariato loro collegate Auser, Anteas e Ada, vogliono essere in prima linea anche ora che comincia la fase operativa con i bandi che la Regione aprirà, proprio per non disperdere quel patrimonio di condivisione che ha caratterizzato positivamente l'iter iniziale della legge.

 

In Veneto le aziende tenute al collocamento obbligatorio di persone con deficit fisici o psichici potranno assolvere all’obbligo di legge conferendo commesse di lavoro a cooperative sociali che impiegano persone con disabilità.

È questo il contenuto di uno schema di convenzione tra Regione Veneto, sindacati e associazioni di categoria, approvato dalla Giunta regionale.

“La convenzione crea uno strumento ulteriore per l’inserimento lavorativo dei disabili e contribuisce ad ampliare la gamma degli interventi previsti dalla legislazione regionale e nazionale per la realizzazione personale e lavorativa delle persone con disabilità”, ha affermato l’assessore al Lavoro Elena Donazzan. “Inoltre con questo intervento si rendono più omogenee le possibilità di collocamento lavorativo in tutto il territorio regionale”.

La convenzione prevede che gli inserimenti lavorativi connessi a produzioni o servizi affidati a cooperative sociali siano mediati dai Centri per l’impiego pubblici e che vengano accompagnati da attività formative, finalizzate a migliorare le conoscenze e le abilità delle persone, nella prospettiva di un loro successivo inserimento nel mercato del lavoro. Le convenzioni provinciali ancora in vigore si potranno applicare sino alla loro naturale scadenza.

Due pronunciamenti della Corte Costituzionale, con esito diverso, su altrettanti ricorsi della Regione Veneto. Con la sentenza n. 78 del 2018, è stato accolto il ricorso avverso l’art. 1, comma 615, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), che prevede sia un Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile, sia un Fondo destinato a finanziarne gli interventi.  
Secondo la sentenza tale norma è incostituzionale “nella parte in cui non prevede alcuna forma di coinvolgimento decisionale delle Regioni, così violando il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 della Costituzione”, perché la mobilità sostenibile ha implicazioni sullo “sviluppo del sistema del trasporto pubblico locale”, che è materia di “competenza regionale residuale”. È stata invece dichiarata inammissibile, con la sentenza n. 79, la questione di costituzionalità promossa sempre dal Veneto contro l’art.1 della medesima legge che, ai commi 395 e 396, eliminando i divieti e i precisi requisiti di professionalità stabiliti nel 2015 su richiesta delle stesse Regioni, ha reintrodotto la prassi dei Presidenti Commissari nelle Regioni in extra deficit sanitario e quindi soggette a commissariamento statale. Si tratta di una prassi che, tornando a far coincidere controllore e controllato, ristabilisce una situazione di conflitto di interessi (peraltro evidenziata dallo stesso Ministero della Salute nel parere contrario all’emendamento poi accolto in Parlamento) che ha prodotto gravi danni alla garanzia dei livelli essenziali del diritto alla salute in determinate Regioni e consistenti buchi nel bilancio statale. Secondo la Corte Costituzionale, tuttavia, la censura della Regione Veneto è inammissibile, in quanto questa non avrebbe dimostrato gli “effetti negativi” sulle proprie finanze.

 

Nella sanità veneta si sta assistendo ad un fuggi fuggi generale da parte di stimati medici che, o se ne vanno nel privato dove l’ambiente offre forme più flessibili di lavoro e quindi un medico riesce a costruire intorno a sé orari in una struttura ad hoc, oppure direttamente in pensione grazie al cumulo pensionistico dei cui vantaggi ne stanno beneficiando in molti.

Ma l’aspetto più rilevante e principale della questione è il malcontento generale dovuto, spiegano gli addetti ai lavori, al costante aumento di lavoro contrapposto alla crescente diminuzione di organico.
A pagarne le spese è il servizio offerto.

Un aspetto altrettanto grave e che sta crescendo negli ultimi mesi, riguarda lle aggressioni agli operatori di corsia (infermieri oe/o OSS) vittime della rabbia e della esasperazione di utenti-pazienti.
Questi incresciosi episodi accadono perché in molte strutture ospedaliere vi sono troppi ammalati e pochi operatori. Infermieri e dottori confermano che alla notte, in reparti con 15/20 posti letto occupati, il turno notturno viene affidato ad un solo infermiere e dottore, i quali devono anche gestire i pazienti che vengono dai pronti soccorso.

Una domanda sorge spontanea: come è possibile che vi siano queste criticità se la sanità veneta, in termini di gestione, primeggia così come certificato dall’ultima relazione della Corte dei Conti? Resta il fatto che la fuga di medici dagli ospedali veneti è evidente ed inarrestabile e sono ancora una volta i numeri a darci l’esatto quadro della situazione; negli ultimi mesi i medici che hanno dato le dimissioni dalle Ulss venete sono oltre una quarantina tra cui: 5 anestesisti da Verona; due radiologi da Mestre; due ortopedici (Castelfranco), una diabetologa (Castelfranco), un pediatra (Montebelluna), un anestesista, un pediatra (Conegliano); nella Polesana una reumatologa, una gastroenterologa, un internista, un urologo, un ginecologo, due ortopedici, un otorino, due oculisti, due neurologhi, un anestesista e un medico del territorio; nell’Euganea tre pediatre e due ortopedici (Camposampiero), tre radiologhe (Cittadella), uno psichiatra (Sant’ Antonio Padova); due ortopedici nella Berica. Ed i numeri sono destinati a crescere.

Valorizzare “ il ruolo strategico degli istituti per la terza età presenti nel nostro territorio. Più che case di riposo dovranno essere centri di servizi, in grado di offrire una gamma completa di prestazioni, dalla residenza assistenziale per i non autosufficienti, al centro diurno, alle prestazioni di assistenza domiciliare a chi rimane a casa propria”.

Così l’assessore ai Servizi Sociali della Regione Veneto Manuela Lanzarin ha sintetizzato l’esito della riunione del tavolo regionale di confronto con le rappresentanze sindacali promosso in vista della legge di riforma degli Istituti di assistenza e beneficenza in Veneto.

“Attualmente le Ipab in Veneto ospitano circa 15 mila assistiti e rappresentano quasi la metà dell’offerta residenziale per anziani”, ha aggiunto Lanzarin. “La riforma dovrà promuovere e incentivare la messa in rete delle Ipab con i Comuni e i servizi sociosanitari del proprio territorio, secondo un orizzonte strategico di welfare di comunità”. Per l’assessore sarà fondamentale compiere un passo vanti integrando il nuovo ruolo degli Ipab nell’assetto dell’offerta sanitaria della Regione.

La Regione Veneto ha fornito alle 9 aziende sanitarie dettagliate “indicazioni operative” per la realizzazione di progetti  di autonomia delle persone con disabilità grave, privi di riferimenti familiari. Si tratta dell’attuazione del cosiddetto ‘Dopo di noi’, il programma regionale scaturito dalla legge nazionale 112/2016 e finalizzato ad avviare percorsi e soluzioni innovative per i disabili gravi in età adulta, quando la rete di genitori e congiunti viene meno. A questo scopo sono stati destinati poco più di 10 milioni di euro per il biennio 2017-18. L’obiettivo del programma è sperimentare, tramite il coinvolgimento del terzo settore, delle famiglie e dei servizi sociali, esperienze residenziali in appartamenti che riproducono le condizioni di una famiglia, e avviare percorsi giornalieri di autonomia, nonché forme di sostegno per soluzioni domiciliari alternative ai grandi  istituti e alle Rsa.
 

Sono oltre 3 mila i disabili gravi attualmente ospitati nelle strutture residenziali del Veneto. La rete delle 252 strutture (tra grandi istituti, case alloggio, Rsa, centri diurni e strutture protette) offre 3.554 posti, di cui 3.200 accreditati .

Il Governatore del Veneto Luca Zaia ha incontrato il Sottosegretario di Stato Gianclaudio Bressa per fare il punto sull’andamento del negoziato sull’autonomia del Veneto. Un faccia a faccia “produttivo e positivo”, ha detto Zaia, che ha annunciato che ci si avvia alla firma di una pre-intesa “che è già una pietra miliare” e che dovrebbe arrivare “prima dell’avvio della campagna elettorale vera e propria”.

L’incontro, fanno sapere dalla Regione, si è incentrato sulle cinque materie (Sanità, Lavoro, Ambiente, Istruzione e Unione Europea) su cui la Regione Veneto ha chiesto di avocare a sé le competenze. Ma “conto di inserire e concordare un ulteriore pacchetto di competenze prima della firma della pre-intesa, all’interno della quale andranno inseriti anche tempi certi per il lavoro futuro che si andrà a fare con il Governo che scaturirà dalle elezioni”, ha detto ancora Zaia.

Altro aspetto cruciale del confronto, quello dei finanziamenti: “andrà discusso con il Ministero dell’Economia e delle Finanze”, ha aggiunto il Governatore: “dovranno essere rispettosi di quello che una Regione manda a Roma e che deve tornare sul territorio”.

Quasi 50 mila bambini sottoposti a screening neonatale in soli due anni per individuare la malattia di Pompe, patologia genetica rara, dovuta all’alterazione dell’enzima alfa-glucosidasi, per cui la diagnosi precoce può fare la differenza la vita e la morte. È l’esperienza dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Metaboliche Ereditarie del Dipartimento assistenziale integrato di Pediatria dell’Azienda ospedaliera di Padova che nelle settimane scorse è stata presentata sulle pagine del Journal of inherited metabolic diseases.

“Qui a Padova - spiega il direttore del dipartimento e capo del progetto Alberto Burlina - abbiamo realizzato e stiamo portando avanti uno studio che, per adesione, non ha eguali in Italia e in Europa. Da una semplice goccia di sangue possiamo stabilire con assoluta certezza se il neonato sia affetto o meno dalla Malattia di Pompe. Inoltre, sulla base dell’attività enzimatica, sappiamo anche quale sia la forma della malattia. Avviare una terapia prima che si manifestino sintomi - aggiunge Burlina - significa offrire una chance di vita ai bambini colpiti. E, da quando abbiamo iniziato con questa attività di screening abbiamo rilevato un numero di casi impressionante, ben più di quanti avremmo pensato di poterne trovare”.

Le risorse complessivamente disponibili per la sanità regionale in Friuli Venezia Giulia ammontano ad e 2,2 miliardi. Do0vranno servire a consentire alle singole aziende di predisporre entro fine gennaio i propri piani attuativi per garantire, su tutto il territorio e in maniera omogenea, servizi efficienti, mettendo sempre al centro dell'attenzione il paziente con i suoi problemi e le sue esigenze.
Lo stabilisce il documento per la gestione del Servizio sanitario e sociosanitario regionale per l'anno 2018 che la Giunta ha approvato in via preliminare su proposta dell'assessore alla Salute, Maria Sandra Telesca.

Nel 2016 gli utenti dei Sert in Veneto con meno di 29 anni sono stati 4.564, con un "netto incremento nella fascia adolescenti 14-48" anni. Le sostanze di cui si abusa sono varie, comprendono alcol, smart drug e cannabinoidi, ma anche il gioco patologico. I dati "sono preoccupanti", commenta l'assessore regionale al Sociale e alle Politiche giovanili, Manuela Lanzarin. Specie perche' "e' ormai evidente come l'abuso di sostanze sia un comportamento abituale, spesso associato al divertimento e allo svago, trasversale a tutte le categorie sociali e presente in maniera significativa in tutte le aree della regione, nessuna esclusa". Servono quindi nuove strategie di prevenzione e "nuove modalità di aggancio nei confronti dei giovani, e in particolare gli adolescenti, nei loro luoghi di vita, di socializzazione e di svago". Per questo la Regione Veneto investirà "420 mila euro in nuovi progetti di sensibilizzazione e contatto con i giovani, in particolare nei luoghi del divertimento", annuncia Lanzarin. Dei fondi stanziati, 300 mila euro saranno destinati alle 9 Ulss venete, che per sbloccarli dovranno elaborare dei progetti specifici entro il prossimo 15 dicembre e impegnarsi nel cofinanziamento. I restanti 120 mila euro saranno invece destinati al progetto "safe night in game", che prevede "interventi sul campo nei locali pubblici e negli spazi di aggregazione".

“Ho espresso parere contrario alla parte sanitaria della legge di bilancio dello Stato”. Ne dà notizia l’Assessore del Veneto Luca Coletto, al termine della riunione dell’8 novembre della Commissione Nazionale Salute, che riunisce gli Assessori alla Sanità delle Regioni Italiane, in seno alla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome. “Lo Stato – dice Coletto – prevede per il 2018 un fondo sanitario nazionale pari a 114 miliardi che, in realtà, costituisce un taglio ulteriore di un miliardo e mezzo, perché dentro a questa cifra vanno compresi anche nuovi, gravosi costi che peseranno sulle Regioni”. “Unico esempio in Italia, dove tutti i rinnovi contrattuali sono coperti dallo Stato – specifica Coletto – quelli della sanità vengono invece fatti ricadere sulle Regioni, e si tratta di cifre ingenti. A questo dobbiamo poi sommare gli 820 milioni di maggiori oneri per i farmaci oncologici e ad alto costo, per i quali la previsione dello Stato è zero. Senza contare, dulcis in fundo, che il Ministero della Salute non ha ancora stimato i reali costi dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, che in realtà sono pari a non meno di due miliardi contro gli 800 milioni accreditati sul Fondo Nazionale”. “Di fronte a questo quadro – aggiunge l’Assessore del Veneto – fatico a capire come il Ministro della Salute abbia potuto anche solo parlare di abolizione del superticket. Si deve sapere che in realtà, con le tasse e i tagli in sanità, si vanno a finanziare voci di spesa, e spesso sprechi, provocate da altri settori della spesa pubblica. E’ già accaduto con i superticket di dieci euro introdotti nel 2011 per recuperare due miliardi. Quella cifra, nella legge di bilancio 2015, è in realtà poi stata spostata su altre voci di spesa. E’ ora di finirla – conclude – di considerare la sanità il bancomat di tutte le spese per le quali lo Stato non sa trovare i fondi o non sa tagliare gli sprechi applicando criteri e costi standard”.

"Tra le caratteristiche positive della sanità veneta c’è sicuramente la sfida virtuosa a chi fa meglio tra il pubblico e il privato-convenzionato che, nell’ottica del malato, significa avere a disposizione la squadra più forte possibile”. Lo ha detto il 2 ottobre scorso il Presidente della Regione del Veneto, inaugurando, all’Ospedale San Camillo di Treviso, un nuovo modernissimo ortopantomografo tridimensionale e la palestra di riabilitazione, allestita per assistere principalmente, ma non solo, i pazienti nella fase post operatoria della chirurgia ortopedica e protesica. Tra il privato-convenzionato del San Camillo e il pubblico del Cà Foncello – è stato sottolineato da più parti – esiste da sempre un rapporto di stretta collaborazione, nell’ambito del quale vengono anche elaborati protocolli specifici per mettere a disposizione dei pazienti un servizio unico e qualitativamente livellato in alto. “Il San Camillo – ha detto il Governatore – è un’istituzione che fa parte della storia della sanità trevigiana e continuerà così, ma nel capoluogo della Marca abbiamo anche la dimostrazione concreta di quanto importante sia la collaborazione tra pubblico e privato in sanità. A entrambi chiediamo di continuare così e di puntare sempre di più alle alte specializzazioni, che sono il futuro di ogni sistema sanitario moderno, dove i letti generalisti saranno sempre meno e saranno via via sostituiti dalle specializzazioni, che garantiscono cure più efficaci, meno dolore e ricoveri più brevi”. “Da alcuni ambienti – ha concluso il Presidente della Regione – si sostiene che il Veneto abbia troppo poco privato-convenzionato. E’ vero che, con il nostro 12%, siamo la Regione che ne ha meno, ma ciò è legato a una scelta virtuosa fatta da anni: privilegiare la crescita della qualità delle strutture esistenti, evitando allargamenti quantitativi che lascerebbero il tempo che trovano. La scelta è vincente e lo dimostrano ospedali come il San Camillo e molti altri del privato-convenzionato veneto”.

Presa di posizione dura del Presidente del Veneto Luca Zaia il 26 settembre scorso.

“Tanto tuonò che piovve. Quello che dicevamo noi due anni fa, accusati di allarmismo e di speculare sui timori della gente per la propria salute, è confermato dalla Corte dei Conti che, come attesta oggi un quotidiano nazionale, evidenzia un taglio alla sanità di 25 miliardi dal 2010. Il che, abbinato alle previsioni del Documento di Economia e Finanza, porterà presto l’Italia al di sotto della soglia minima del 6,5% del Pil dedicato alla salute, che l’Oms indica come limite sotto il quale cala l’aspettativa di vita della gente. Dicemmo che ci avrebbero portato ai livelli della Grecia, e non dell’Europa evoluta, che arriva al 10% del Pil come l’Olanda. Ci siamo arrivati, ed è una delle peggiori sconfitte di una Stato che voglia dirsi civile: non riuscire a curare bene la sua gente, non rispettando nemmeno la sua Costituzione”.

Con queste parole, il Presidente della Regione del Veneto commenta, “con grave preoccupazione” le prospettive di finanziamento della sanità pubblica in Italia.

“Non avremmo mai voluto dire ‘ve l’avevamo detto’ – aggiunge il Governatore – e invece ci tocca farlo. Però non vogliamo gioire delle disgrazie nazionali, e per questo ribadisco che una via d’uscita c’è: applicare immediatamente e impietosamente i costi standard, tagliare sprechi e rami secchi e non i sistemi sanitari in equilibrio come quello del Veneto, applicare il buon senso e dare più libertà di manovra ai territori virtuosi e più vincoli, e tasse locali se serve, agli spreconi. Siamo coinvolti in una catastrofe della quale il Veneto non ha nessuna colpa, avendo i conti in attivo. Ne usciremo con le nostre forze quando potremo destinare ai bisogni sociosanitari dei Veneti almeno una parte degli oltre 15 miliardi di residuo fiscale attivo che ogni anno essi mandano a Roma senza ricevere indietro un solo euro in finanziamenti o investimenti”.

“Non basta – incalza il Governatore - perchè anche la Fondazione Gimbe, che si occupa di sostenibilità del Servizio Sanitario Pubblico, denuncia che, con le previsioni del Def, la spesa per la salute rispetto al Pil calerà inesorabilmente dal 6,6% di quest’anno al 6,3% del 2020. Il che vuol dire che tra due anni l’Italia sarà al di sotto della soglia minima perché non cali l’aspettativa di vita, fissata dall’organizzazione Mondiale della Sanità nel 6,5% del Pil”.

“Sono due anni – ricorda il Governatore – che il Veneto denuncia questa realtà, che già allora era evidenziata da un taglio di 928 milioni per il 2014; da altri 2 miliardi 347 milioni tagliati per il 2015, da meno 4 miliardi 444 milioni rispetto al Patto nazionale per la Salute e meno 2 miliardi 097 milioni rispetto all’intesa del 2 luglio 2015 (non siglata dal Veneto) per il 2016. Nell’anno di grazia 2017, il Veneto, pur con i conti in ordine, ha dovuto subire ulteriori decurtazioni.. Così – conclude il Presidente – non può durare. Ci lascino le nostre tasse e con quelle saremmo molto più vicini al 10% di Pil investito in sanità dall’Olanda, che alla soglia di non ritorno sotto il 6,5%”.

 

 

Afferma Manuela Lanzarin: Una  legge che aiuterà a promuovere una nuova cultura della ‘terza età’ e stimolerà una diversa concezione della vecchiaia quella sull’invecchiamento attivo approvata dalla regione Veneto. L’anzianità, sostengono i promotori della legge,  non è solo una condizione di fragilità e di non autosufficienza, ma sta diventando sempre più una condizione di ‘tempo liberato’, in grado di offrire professionalità, competenze, opportunità di crescita, se valorizzata nella sua dimensione sociale e se promossa e difesa con adeguati stili di vita e servizi su misura. Gli anziani sono sempre più una risorsa, e non solo un problema.

“Questa legge rappresenta un primo step di un diverso approccio alla dinamica demografica dell’invecchiamento - – sottolinea l’assessore Lanzarin - In una regione come il Veneto, dove l’aspettativa di vita media sfiora ormai i 90 anni e dove, entro il 2030, un quarto della popolazione avrà più di 65 anni e ci saranno 200 anziani ogni 100 giovani valorizzare l’apporto sociale e comunitario della terza e della quarta età consentirà di liberare energie positive per l’intera società”.

La legge sull’invecchiamento attivo supererà l’esperienza del servizio civile per anziani (la relativa legge regionale sarà abrogata) e promuoverà un programma articolato di progetti e iniziative, di durata triennale, costruito coinvolgendo associazioni, Ulss, comuni, cooperative sociali, centri servizi del volontariato, organizzazioni sindacali e del terzo settore, scuole e università, e sostenuto da contributi regionali.

Documentazione

Questionario sulla prevenzione del rischio clinico nelle strutture associate all'Aris.

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