Due pronunciamenti della Corte Costituzionale, con esito diverso, su altrettanti ricorsi della Regione Veneto. Con la sentenza n. 78 del 2018, è stato accolto il ricorso avverso l’art. 1, comma 615, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), che prevede sia un Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile, sia un Fondo destinato a finanziarne gli interventi.  
Secondo la sentenza tale norma è incostituzionale “nella parte in cui non prevede alcuna forma di coinvolgimento decisionale delle Regioni, così violando il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 della Costituzione”, perché la mobilità sostenibile ha implicazioni sullo “sviluppo del sistema del trasporto pubblico locale”, che è materia di “competenza regionale residuale”. È stata invece dichiarata inammissibile, con la sentenza n. 79, la questione di costituzionalità promossa sempre dal Veneto contro l’art.1 della medesima legge che, ai commi 395 e 396, eliminando i divieti e i precisi requisiti di professionalità stabiliti nel 2015 su richiesta delle stesse Regioni, ha reintrodotto la prassi dei Presidenti Commissari nelle Regioni in extra deficit sanitario e quindi soggette a commissariamento statale. Si tratta di una prassi che, tornando a far coincidere controllore e controllato, ristabilisce una situazione di conflitto di interessi (peraltro evidenziata dallo stesso Ministero della Salute nel parere contrario all’emendamento poi accolto in Parlamento) che ha prodotto gravi danni alla garanzia dei livelli essenziali del diritto alla salute in determinate Regioni e consistenti buchi nel bilancio statale. Secondo la Corte Costituzionale, tuttavia, la censura della Regione Veneto è inammissibile, in quanto questa non avrebbe dimostrato gli “effetti negativi” sulle proprie finanze.

 

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