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Imbarazzante ritardo nell’attuazione dell’assistenza territoriale

Solo il 2,7% delle Case di Comunità previste operano secondo il progetto finanziato PNRR

Laddove sono state messe in condizione di offrire il servizio per il quale sono state progettate, funzionano davvero. Ne sono testimoni i Pronto Soccorso nelle loro vicinanze, che si vedono sgravati dall’assistenza a decine e decine di malati da codice triage bianco o addirittura verde.

Peccato che delle oltre 1700 previste, solo 164 (cioè il 9,6%) sono attrezzate per tutti i servizi obbligatori, dunque già dichiarate attive, anche se solo 46 (cioè il 2,7% del totale) risultano pienamente operative, cioè con presenza sia medica che infermieristica.

Sono gli sconcertanti risultati dell' indagine dell’Osservatorio GIMBE sul funzionamento del SSN, centrata questa volta sulle Case di Comunità, strutture che, con gli altrettanto sognati ospedali di comunità, dovrebbero assicurare quell’assistenza territoriale, finanziata con i fondi del PNRR, in grado di realizzare la cosiddetta prossimità assistenziale. Sta di fatto che "a poco più di un anno dalla rendicontazione finale della Missione Salute del Pnnr – ha fatto notare Nino Cartabellotta presentando l’ultimo report GIMBE proprio sull'attuazione della Missione - l'avanzamento di Case e Ospedali di Comunità procede ancora troppo lentamente e con velocità profondamente diverse tra le Regioni”.

Ad incidere pesantemente sul mancato 'pieno funzionamento' delle strutture - requisito indispensabile per la rendicontazione finale -, oltre ai ritardi infrastrutturali, è naturalmente frutto amaro della carenza di personale sanitario, in particolare infermieristico. Ma non solo. "Nel caso delle Case della comunità -ha infatti sottolineato Cartabellotta - pesa poi anche l'assenza di un reale coinvolgimento dei medici di famiglia, perno insostituibile dell'assistenza territoriale”.

È dunque indispensabile accelerare in maniera sinergica su più fronti, per scongiurare rischi concreti. Il primo, segnalato come da evitare ad ogni costo, è quello di non raggiungere i target europei e quindi dover restituire il contributo a fondo perduto. Il secondo è di raggiungere il target nazionale, senza però ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali, che rischiano anzi di ampliarsi. Il terzo, forse il più grave, è “'portare i soldi a casa' senza produrre benefici reali per cittadini e pazienti, lasciando in eredità solo scatole vuote e una digitalizzazione incompleta, a fronte di un indebitamento scaricato sulle generazioni future".


Il guaio è che, come osserva il Presidente GIMBE, se piccoli passi si sono compiuti, come per esempio verso l’assistenza domiciliare dei più fragili, persistono grandi disparità regionali, sia nel numero proprio di assistiti a domicilio, sia nella tipologia di servizi offerti. Infatti, come documentato dal Report Agenas sul monitoraggio del Dm 77 - aggiornato a dicembre 2024 – Solo quattro Regioni superano il 50% di Case di comunità con almeno un servizio dichiarato attivo: Emilia-Romagna (70,6%), Lombardia (66,7%), Veneto (62,6%) e Marche (55,2%). Sei Regioni si collocano tra il 25% e il 50%: Molise (38,5%), Liguria (33,3%), Piemonte (29,5%)

Umbria (27,3%), Toscana (26,9%), Lazio (26,5%). In altre cinque Regioni – nota il report Gimbe -, la percentuale varia dallo 0,8% della Puglia al 5% della Sardegna, mentre in sei Regioni non risulta attiva alcuna Case di comunità. Considerando solo che quelle con tutti i servizi dichiarati attivi, la media nazionale si attesta al 6,9% per quelle prive di personale medico e infermieristico e al 2,7% per quelle pienamente funzionanti.


Per ciò che riguarda gli Ospedali di comunità dei 568 previsti, solo 124 (21,8%) risultano avere almeno un servizio attivo, per un totale di quasi 2.100 posti letto. In termini assoluti, i numeri più alti si registrano in Veneto (43), Lombardia (25) ed Emilia-Romagna (21). Altre dieci Regioni hanno attivato almeno un Ospedale di comunità: dagli 8 della Puglia a un solo Ospedale di comunità in Campania e Sardegna. Otto Regioni restano invece ancora a quota zero. Ricordiamo che, per essere pienamente operativi, gli Ospedali di comunità devono garantire presenza medica per almeno 4,5 ore al giorno sei giorni su sette, assistenza infermieristica continuativa (H24 7/7 giorni), la figura del case manager, posti letto per pazienti con demenza o disturbi comportamentali e spazi dedicati alla riabilitazione motoria.

Le Centrali Operative Territoriali, strutture essenziali per coordinare la presa in carico dei pazienti e integrare l'assistenza sanitaria e sociosanitaria, risultano attivate in tutte le Regioni. Al 31 dicembre 2024, su 650 COT programmate, 642 risultavano pienamente funzionanti, di cui 480 hanno contribuito al raggiungimento del target europeo.

Quanto al Fascicolo sanitario elettronico 2.0, il pilastro della trasformazione digitale del Ssn, nonostante un investimento da 1,38 miliardi di euro, secondo la Corte dei Conti “ il cronoprogramma ha già subìto ritardi: la milestone sulla piena interoperabilità nazionale, inizialmente prevista per giugno 2024, è stata posticipata a dicembre 2024, mentre la digitalizzazione nativa dei documenti è attesa per giugno 2025", ricorda il report Gimbe.

"Senza la piena operatività del Fse su tutto il territorio nazionale e senza il consenso dei cittadini alla consultazione dei documenti - avverte Cartabellotta - rischiamo di centrare i target solo sulla carta per incassare i fondi, ma di lasciare la digitalizzazione del Ssn incompiuta, frammentata e inefficace". Purtroppo nessuna Regione rende disponibili tutte le 16 tipologie di documenti previste dal Dm 7 settembre 2023. E se si aggiunge la scarsa adesione da parte dei cittadini, soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, si evidenzia un preoccupante segnale di sfiducia nella sicurezza dei dati personali e nella reale utilità del Fascicolo sanitario elettronico.

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