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La sanità trasformata in un campo di battaglia politica

Settembre il mese del…risveglio. Con ancora nel cuore dei ricordi, si riassapora il mare che culla, il respiro che si allarga tre i boschi montani, il dolce far niente sdraiati sull’amaca ombreggiata da fronde amiche, ecco imporsi, pian piano, ma sempre più decisamente, il richiamo della routine. Il lavoro, l’ufficio, le mille incombenze che fanno capolino tra una pausa caffè e un controllo della posta. In poche ore, la sensazione di liberazione si trasforma: la mente vorrebbe restare nell’abbraccio della stagione delle vacanze, ma la realtà sociale e lavorativa la richiama senza trattenerla. È qui che la scena quotidiana, per noi associati, si intreccia con la “bagarre” della sanità italiana. Ci ritroviamo in quel crocevia di norme, attese e decisioni che ci assillano giorno dopo giorno. Nella cronaca di una giornata tipo si ripropongono i soliti segnali: corridoi affollati, orari che si concatenano, call center e riunioni, la precisione dei turni e l’ansia delle attese, l’email che rompe la traccia del pensiero, la lista di appuntamenti che scandisce il ritmo. E, immancabile tra questi dettagli, spunta la domanda più ampia: quanto influisce l’organizzazione sanitaria sulle nostre vite quotidiane, oltre la sfera privata? La sanità è certamente un fenomeno pubblico che si intreccia con la vita di ciascuno, ben oltre le stanze d’attesa. Saper leggere questa interconnessione significa comprendere che la “normalità” di oggi è costruita anche dalle regole che governano l’assistenza sanitaria. Ma le regole che ci stanno imponendo sono, saranno o non saranno ma risolutive?

Una riflessione di fine estate dell’illustre collega Luciano Fassari è riuscita comunque a riaccendere quello spirito professionale che anima quanti sono chiamati ad essere servitori della notizia, buona o cattiva che sia. Ad aprire le danze il siparietto inscenato sulla vicenda attorno al Nitag che “si è trasformata nota Fassari - in una partita tutta politica, con accuse, sospetti e rivendicazioni. In questo modo si perde di vista ciò che dovrebbe essere al centro: come garantire ai cittadini un servizio sanitario moderno, equo e sostenibile.” Invece come sempre accade anche questa volta si parla di sanità quasi esclusivamente perchè vi è la possibilità di utilizzarla come strumento di contrapposizione. “Non è la sostanza dei problemi a dettare l’agenda, ma l’occasione di polemizzare e di occupare la scena mediatica”.

Ci si dovrebbe piuttosto capire come rafforzare la governance della sanità pubblica, come valorizzare i pareri scientifici e come integrare questi strumenti nei processi decisionali “senza esporli alle oscillazioni della contesa politica”.

E sì, perché mentre si litiga su a chi affidare comitati, poltrone, sulle procedure da seguire, su quale amico o parente spingere, restano fuori dal dibattito questioni divenute ormai di urgentissima definizione se non si vuole precipitare nel baratro: la carenza di personale, che mette a rischio interi reparti e costringe molti ospedali a ridurre servizi; le liste d’attesa interminabili, che trasformano il diritto alla cura in un percorso ad ostacoli; le disuguaglianze territoriali, con Regioni che garantiscono livelli di assistenza molto diversi tra Nord e Sud; il sottofinanziamento strutturale, che da anni erode la capacità del Servizio sanitario nazionale di rispondere ai bisogni crescenti di una popolazione che invecchia.

Evidentemente le bagarre da cortile su singoli episodi o su strumentali organismi nasconde un problema molto più grande: l’incapacità della politica italiana ad elaborare una visione di lungo periodo per la sanità. “Le riforme – nota Fassari - si rincorrono, spesso dettate dall’urgenza del momento o da logiche di consenso immediato”. La cosa grave è che manca un piano strutturale che affronti le grandi sfide: digitalizzazione, riorganizzazione della medicina territoriale, formazione di nuove figure professionali, sostenibilità economica.

Ormai ci siamo abituati: la sanità, trasformata in terreno di battaglia tra fazioni contrapposte, non potrà mai essere occasione di riflessione strategica per la salute del Paese. “Il risultato – conclude Fassari, e con il nostro pieno consenso -un sistema che continua a funzionare grazie all’impegno straordinario di medici, infermieri e operatori”. Il rischio però è che alla fine dei conti non riuscirà a reggere l’urto delle sfide future.



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