News & Eventi

Focus

Focus

L’agonia del Servizio Sanitario Nazionale

L’agonia del SSN. E’ deprimente l’ennesima, quasi straziante, immagine del sistema sanitario del nostro Paese, così come presentata dall’8° Rapporto Gimbe sulla sanità italiana. E purtroppo, dati alla mano che non si possono smentire, perché sotto gli occhi di tutti (anche se c’è chi fa finta di non vedere), il nostro sistema salute - una volta universalmente riconosciuto tra i migliori al mondo – si sta sgretolando sotto i colpi di una irrefrenabile crisi strutturale. Una crisi che, nonostante le tante grida di allarme levatesi da ogni dove, è stata incoscientemente ignorata dai vari governi che si sono succeduti in questi ultimi anni, a partire dal fatidico 2011, consegnato alla storia per i tagli senza senso inferti proprio alla sanità. E chi ci va di mezzo è quell’italiano su 10 – cioè oltre 5,8 milioni di persone, circa 10% della popolazione -, che deve rinunciare completamente a curarsi perché non ha i mezzi per sopperire alle mancanze dello Stato.

E questi sono i fatti messi a nudo dal Rapporto GIMBE presentato in questi giorni presso la Sala della Regina della Camera dei Deputati. Il Presidente Cartabellotta, nell’illustrare i dati meticolosamente raccolti, non ha usato mezzi termini nel presentarsi come uno dei tanti come noi testimoni di quel “lento ma inesorabile smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale” che ha finito per essere “vittima di un definanziamento mascherato, con aumento delle disuguaglianze” tra aree del Paese, tra ceti sociali, tra razze e culture diverse. E se non si vuole prendere realmente coscienza di questa situazione significa condannare milioni di persone a rinunciare non solo alle cure, ma al diritto fondamentale della salute.

“Da anni – come ha sottolineato Cartabellotta - i Governi, di ogni colore politico, promettono di difendere il Servizio Sanitario Nazionale, ma nessuno ha mai avuto la visione e la determinazione necessarie per rilanciarlo con adeguate risorse e riforme strutturali. Le drammatiche conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: aumento delle disuguaglianze, famiglie schiacciate da spese insostenibili, cittadini costretti a rinunciare a prestazioni sanitarie, personale sempre più demotivato che abbandona la sanità pubblica. È la lenta agonia di un bene comune che rischia di trasformarsi in un privilegio per pochi".


Un’esagerazione? Diamo un’occhiata ai numeri, per capire. Dopo i tagli del decennio 2010-2019 e le imponenti risorse assegnate nel 2020-2022 – letteralmente assorbite interamente dalla pandemia -, il fondo sanitario nazionale (FSN) nel triennio 2023-2025 è cresciuto di ben € 11,1 miliardi: da € 125,4 miliardi del 2022 a € 136,5 miliardi del 2025 (figura 1). Risorse in buona parte erose dall’inflazione – che nel 2023 ha toccato il 5,7% – e dall’aumento dei costi energetici. Ma, come si evince dal Rapporto, dietro l’aumento dei miliardi si cela un imponente e costante definanziamento. Infatti, la percentuale del FSN sul PIL al 31 dicembre 2024 è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025 (figura 2), pari a una riduzione in termini assoluti di € 4,7 miliardi nel 2023, € 3,4 miliardi nel 2024 e € 5 miliardi nel 2025. Dunque se è vero che nel triennio 2023-2025 il FSN è aumentato di € 11,1 miliardi, è altrettanto vero che con il taglio alla percentuale di PIL la sanità ha lasciato per strada € 13,1 miliardi".


Dal punto di vista previsionale, il Documento Programmatico di Finanza Pubblica (DPFP) 2025 del 2 ottobre 2025 stima un rapporto spesa sanitaria/PIL stabile al 6,4% per gli anni 2025, 2027 e 2028, con un leggero aumento al 6,5% nel 2026, legato alla lieve revisione al ribasso delle stime di crescita economica. Tuttavia, la Legge di Bilancio 2025 racconta un’altra storia: la quota di PIL destinata al FSN scenderà dal 6,1% del 2025-2026 al 5,9% nel 2027 e al 5,8% nel 2028. Questo divario tra previsione di spesa e finanziamento pubblico rischia di scaricarsi sui bilanci delle Regioni: € 7,5 miliardi per il 2025, € 9,2 miliardi nel 2026, € 10,3 miliardi nel 2027, € 13,4 miliardi nel 2028. Eppure il finanziamento della sanità pubblica non è una variabile negoziabile, come ribadito dalla Corte Costituzionale con il netto cambio di passo dal “diritto finanziariamente condizionato” alla “spesa costituzionalmente necessaria” per finanziare i LEA: la Consulta ha riaffermato che la tutela della salute è un diritto incomprimibile che lo Stato deve garantire prioritariamente, recuperando le risorse necessarie da altri capitoli di spesa pubblica.

Secondo i dati ISTAT, la spesa sanitaria per il 2024 ammonta a € 185,12 miliardi: € 137,46 miliardi di spesa pubblica (74,3%) e € 47,66 miliardi di spesa privata di cui € 41,3 miliardi (22,3%) pagati direttamente dalle famiglie (out of pocket) e € 6,36 miliardi (3,4%) da fondi sanitari e assicurazioni. Complessivamente l’86,7% della spesa privata grava direttamente sui cittadini, mentre solo il 13,3% è intermediata. "L’aumento della spesa a carico delle famiglie – osserva Cartabellotta – rompe il patto tra cittadini e Istituzioni con milioni di persone costrette a pagare la sanità di tasca propria o, se indigenti, a rinunciare alle prestazioni. E soprattutto senza più la sicurezza di poter contare su una sanità pubblica che garantisca certezze".

 Cosa dire poi di un Paese come il nostro diviso ormai sempre più nettamente in dueUn fenomeno questo certificato nel  2023: solo 13 Regioni rispettano i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Al Sud si salvano solo Puglia, Campania e Sardegna. La cartina al tornasole degli adempimenti LEA è la mobilità sanitaria che nel 2022 vale oltre € 5 miliardi: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 94,1% del saldo attivo, mentre il 78,8% del saldo passivo si concentra in 5 Regioni del Sud (Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e nel Lazio, che registrano un saldo negativo oltre € 100 milioni. Le conseguenze di questa permanente “frattura strutturale” tra Nord e Sud si riflettono anche nell’aspettativa di vita che in tutte le Regioni del Mezzogiorno è pari o inferiore alla media nazionale.

Non poteva mancare il passaggio sul personale medico e infermieristico. Gli ultimi dati nostrani dicono che in Italia nel 2023 i medici dipendenti erano 109.024, pari a 1,85 per 1.000 abitanti, e quelli convenzionati 57.880. Invece secondo i dati OCSE, che includono tutti i medici in attività compresi gli specializzandi, il nostro Paese conta ben 315.720 medici, ovvero 5,4 ogni 1.000 abitanti. Siamo secondi dopo l’Austria, con un valore nettamente superiore alla media OCSE (3,9) e a quella dei paesi europei (4,1). Sembrerebbe dunque che che in Italia non c’è affatto carenza di medici; piuttosto sono tanti quelli che fuggono dal SSN come sono in tanti quelli che non si dedicano a certe specializzazioni ritenute poco attrattive così come affatto attrattiva è la medicina generale. Le vere carenza si materializzano tra gli infermieri: 6,5 ogni 1.000 abitanti rispetto alla media OCSE di 9,5. Secondo i dati nazionali, nel 2023 sono 277.164 gli infermieri dipendenti, pari a 4,7 per 1.000 abitanti, con un range che varia da 3,53 della Sicilia a 6,86 della Liguria. A peggiorare lo scenario si aggiunge il crollo dell’attrattività per la professione: per l’anno accademico 2025/2026 il rapporto tra domande presentate e posti disponibili al Corso di Laurea in Infermieristica è crollato a 0,92. Sul fronte della medicina territoriale, al 1° gennaio 2024 si stima una carenza di 5.575 medici di medicina generale e di 502 pediatri di libera scelta, che rende spesso difficile trovare un professionista vicino al proprio domicilio. Infine, le retribuzioni restano ben al di sotto della media OCSE: a parità di potere di acquisto per i consumi privati, per i medici specialisti la retribuzione media in Italia è di $ 117.954 (media OCSE $ 131.455) e per gli infermieri ospedalieri di $ 45.434 (media OCSE $ 60.260). Dunque inutile formare più medici, senza prima attuare misure concrete per arginarne le fuga dalla sanità pubblica o per regalare professionisti all’estero".


Il Report si occupa poi dello stato di avanzamento del PNRR evidenziandone luci e ombrePer portare a termine la Missione Salute mancano 14 obiettivi da raggiungere entro il 30 giugno 2026, una data che segna non solo la scadenza degli adempimenti burocratici, ma la reale consegna di strutture e servizi ai cittadini. Dal monitoraggio indipendente GIMBE risulta che 4 target sono in anticipo o già completati: ristrutturazioni degli ospedali, assistenza domiciliare per gli over 65, grandi apparecchiature, contratti di formazione specialistica; altri 5 non sono valutabili per mancanza di dati pubblici. 2 i target che presentano ritardi: riguardo agli interventi di antisismica, al 25 febbraio 2025 risultano attivi o conclusi circa 86 cantieri, ma la spesa totale non raggiunge l’11% del finanziamento e nel Mezzogiorno è del 6% circa.

Relativamente all’adozione da parte di tutte le Regioni del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), al 31 marzo 2025 solo 6 documenti su 16 – lettera di dimissione ospedaliera, referti di laboratorio e di radiologia, prescrizione farmaceutica e specialistica e verbale di pronto soccorso – sono disponibili in tutte le Regioni. Inoltre, solo il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione del FSE con un divario enorme tra le Regioni: dall’1% in Abruzzo, Calabria e Campania al 92% in Emilia-Romagna. Infine, 3 target risultano in netto ritardo: potenziamento delle terapie intensive e semi-intensive, attivazione di Case di Comunità e Ospedali di Comunità . In dettaglio, il target prevede che dovranno essere pienamente funzionanti almeno 1.038 Case della Comunità e almeno 307 Ospedali di Comunità, dotati di servizi e personale sanitari entro il 30 giugno 2026. Al 30 giugno 2025, per 218 Case della Comunità (21%) sono stati dichiarati attivi tutti i servizi, ma di queste solo 46 (4,4%) dispongono di personale medico e infermieristico; gli Ospedali di Comunità dichiarati attivi dalle Regioni erano invece solo 153 (49,8%).


"E infine, ma non da ultimo, l’eterna questione pubblico-privato. E qui ci sono da fare diverse precisazioni perché non bisogna confondere il privato convenzionato (che è parte integrante del servizio pubblico e lavora offrendo al cittadino la stessa assistenza del pubblico e alle stesse condizioni) e il privato che ha scelto di svolgere la propria attività professionale in perfetta autonomia. Ed è quest’ultima categoria di privato quella alla quale si rivolge chi ha la possibilità economica di pagare, anche somme ingenti, per avere i loro servizi di assistenza.

Ma è bene riaffermare che il privato accreditato, che opera in convenzione con lo Stato e alle stesse, se non peggiori, condizioni economiche, non è certo quello che si arricchisce con le defaiance del SSN, del quale, lo ripetiamo fa parte integrante, pur senza godere dei sostegni statali di cui gode invece il pubblico. Ciò precisato torniamo alle dichiarazioni di Cartabellotta che, anche se in modo molto sfumato fa questa nostra distinzione quando afferma che “Nessun Governo ha mai dichiarato di voler privatizzare il SSN. Ma il continuo indebolimento della sanità pubblica favorisce la continua espansione dei soggetti privati, ben oltre la sanità privata convenzionata".

Forse è necessario fare presente anche un’altra distinzione fra i “soggetti” privati in sanità. Si muovono su quattro fronti: erogatori (convenzionati o “privato puro”), investitori (fondi di investimento, banche, gruppi industriali), terzi paganti (assicurazioni, fondi sanitari), oltre a tutti i contraenti di partenariati pubblico-privato. Si tratta dunque di un ecosistema complesso e intricato in cui è difficile mantenere l’equilibrio tra l’obiettivo pubblico della tutela della salute e quello imprenditoriale della generazione di profitti. Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2023 su 29.386 strutture sanitarie, 17.042 (58%) sono private accreditate e prevalgono sul pubblico in varie aree: assistenza residenziale (85,1%), riabilitativa (78,4%), semi-residenziale (72,8%) e specialistica ambulatoriale (59,7%). Nel 2024 la spesa pubblica destinata al privato convenzionato ha raggiunto € 28,7 miliardi, ma in termini percentuali è scesa al minimo storico del 20,8% . E si badi bene che si sta parlando di tariffe per prestazioni che il pubblico non ce la fa a smaltire strutturalmente e che ijn non pochi casi sono notevolmente inferiori ai costi vivi che conteggiano le strutture pubbliche.

A correre davvero è invece il “privato puro”: tra il 2016 e il 2023 la spesa delle famiglie presso queste strutture è aumentata del 137%, passando da € 3,05 miliardi a € 7,23 miliardi. Nello stesso periodo la spesa out of pocket nel privato accreditato è cresciuta “solo” del 45%, con un divario che si è addirittura ridotto da € 2,2 miliardi nel 2016 a € 390 milioni nel 2023 . "Questo scenario – avverte Cartabellotta – documenta una profonda evoluzione dell’ecosistema dei privati in sanità, dove il libero mercato si sta espandendo grazie alle sinergie tra finanziatori ed erogatori privati, creando un binario parallelo e indipendente dal pubblico, riservato solo a chi può permetterselo".


"Il futuro del Ssn – conclude Cartabellotta – si gioca su una scelta politica netta: considerare la salute un investimento strategico del Paese o continuare a trattarla come un costo da comprimere. Il Piano di Rilancio della Fondazione Gimbe punta in una direzione chiara: rafforzare e innovare quel modello di SSN istituito nel 1978, finanziato dalla fiscalità generale e basato su princìpi di universalità, uguaglianza ed equità, al fine di garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone. Ma perché questo Piano sia attuabile, la Fondazione Gimbe invoca un nuovo patto. Un patto politico che superi ideologie partitiche e avvicendamenti di Governo, riconoscendo nel Ssn un pilastro della democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore di sviluppo economico; un patto sociale che renda i cittadini consapevoli del valore della sanità pubblica e li educhi a un uso responsabile dei servizi; un patto professionale in cui tutti gli attori della sanità devono rinunciare ai privilegi di categoria per salvaguardare il bene comune".


Richiedi informazioni