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L’Italia in liquidazione

E’ diventato uno slogan: “l’Italia è in crisi”. E in realtà, nonostante falsi proclami prettamente elettorali, stiamo diventando il fanalino di coda dell’Europa. Ma la vera crisi che il Paese sta vivendo è ben più grave di ciò che appare perché è subdola, strisciante, nascosta, anche se evidentissima. E’ una crisi “multifacetica”. Una crisi che, proprio per le sue molteplici sfaccettature, va ben oltre ogni polemica di sapore politico, oltre ogni considerazione economico-finanziaria, oltre ogni impoverimento assistenziale, ed oltre ogni altra qualsivoglia disquisizione che occupa il nostro quotidiano chiacchiericcio. Il nostro Paese sta vivendo un processo di “liquidazione” simbolica, ma reale, della propria identità economica, sociale e culturale. Nessuno sembra se ne accorga e se ne preoccupi. Almeno fino a quando non dovremo entrare in casa nostra con il passaporto. Ma, tanto per precisare, non c’entra assolutamente in questa riflessione, la questione migranti. Anzi.

La “questio” è un’altra. E’ come se una enorme piovra stesse stendendo i suoi tentacoli sul Paese per appropriarsene a nostro discapito, ma, è qui il paradosso, con il nostro aiuto.

Che negli ultimi decenni, il volto dell’Italia sia profondamente trasformato è indiscutibile. Quello che può far discutere è l’accondiscendenza , e dunque l’inerzia, dimostrate dagli italiani nel subire quell’invasione ,“anomala” quanto subdola, che, a piccoli passi, ha occupato le sorgenti delle nostre peculiarità patriottiche.

I nostri Governanti, tutti quelli succedutisi almeno in quest’ultimo mezzo secolo di storia, troppo impegnati nel gestire il potere a proprio tornaconto, hanno lasciato mano libera agli affaristi nostrani. E così, a poco a poco e pezzo dopo pezzo, l’Italia finisce in mani sconosciute, straniere. Il cittadino comune poco segue questi movimenti ad alti livelli se non restando di stucco di fronte alle cifre che girano. Ma poi dimentica in fretta, ha ben altro cui pensare. Anzi se il movimento può portare qualche momentaneo vantaggio anche per lui, in termini di risparmio o di migliore attrattiva, ben venga.

Un segnale evidente viene proprio dall’attività popolare tra le più rappresentative del nostro sistema, il mondo del calcio, dello sport più in generale. Nella serie A del nostro campionato di calcio professionistico, quasi il 70% dei calciatori sono stranieri. Ma se la squadra del cuore vince, pur se è composta per undici undicesimi da calciatori stranieri non importa a nessuno. E addirittura siamo felici se la proprietà stessa della squadra finisce nelle mani di un magnate della finanza americano, cinese, arabo o indiano che sia, perché “hanno i soldi per comprare i campioni, da qualsiasi Paese arrivino”. Del resto in Italia, Paese che invecchia sempre più, nascono pochi, pochissimi campioni. Ormai sembra essere così divenuto naturale che anche gli sport più popolari stiano perdendo la loro identità nazionale, e che il successo sia affidato a talenti provenienti da altri Paesi.

Il guaio è che la stessa situazione si presenta in tutti i settori cruciali del Paese.

In questi mesi nel mirino son finiti medici ed infermieri, quelli un tempo tra i protagonisti nel sistema sanitario riconosciuto tra i più efficienti d’Europa se non del mondo. Oggi andiamo a cercare medici fino a Cuba; infermieri nel terzo mondo. I nostri “non nascono” e molti di quei pochi che sono nati e cresciuti scelgono altri lidi dove sono riconosciuti meritevoli di più alti compensi. Continuiamo a fare raccolte per finanziare la ricerca, eppure tanti giovani scienziati emigrano verso siti che offrono maggiori possibilità di successo.

Nulla di diverso nel settore agricolo. Una volta era il cuore pulsante dell’economia italiana. Oggi rischia di scomparire del tutto. La maggior parte dei terreni sono ormai abbandonati o lasciati incolti. Laddove ancora fioriscono frutti, ci sono quasi sempre solo immigrati a mantenere attive le attività agricole residue. Senza il loro lavoro silenzioso e incessante, molte campagne rischierebbero di restare deserte, cancellando un patrimonio di tradizione e cultura che ci distingue nel mondo. Anche qui il Paese non riesce più a far si che quei pochi giovani che restano attaccati alle proprie radici trovino soddisfazione nel lavorare la terra, siano difesi dallo strozzinaggio di certi mediatori e possano ricavare quanto basta a rendere degna e vivibile la quotidianità della propria famiglia e per consentire ai figli di seguire il percorso di quel cammino che li aiuti a formarsi per vivere la propria vita.

Stesso destino per l’edilizia, settore fondamentale per lo sviluppo e la riqualificazione del territorio. Ormai è in mano a muratori stranieri, spesso più competitivi e disponibili rispetto ai nostri giovani disillusi.

In verità le prime ad aver cambiato padrone in Italia sono state le attività commerciali di successo. Dai supermercati alle catene di moda, dai ristoranti alle strutture ricettive, sono sempre più spesso in mano a imprenditori stranieri, che hanno acquisito pezzi importanti del nostro mercato. Stesso destino per tante reti telefoniche, piccole o grandi aziende, con loghi anche famosi e addirittura cliniche cedute a fondi stranieri.

Eccola l’Italia in liquidazione. Cosa ci resterà se gli italiani non hanno più la forza per gestire la nazione?

Il fatto è che l’Italia “non produce” più le forze necessarie;  anzi si adagia sui ricordi sempre rinverditi dall’immagine di un popolo che mostra i segni evidenti della sua vecchiaia. E l’indice di natalità è sempre più sotto zero. Ma ci siamo preoccupati, o meglio i nostri Governanti si sono mai preoccupati di far sì che una coppia di giovani possa diventare famiglia, magari anche con tanti figli, e che abbia la possibilità di avere una casa ad un prezzo almeno correlato al suo guadagno, ed un lavoro pagato almeno quel tanto per assicurare il mantenimento di una vita dignitosa per questa famiglia?Ma per carità: di cosa stiamo parlando. Vorremmo vedere se con 800 euro al mese quei signori che occupano gli scranni parlamentari riuscirebbero a sopravvivere con mogli e figli a carico. Non lamentiamoci allora dei tasso zero di natalità, o se i pochi giovani formatisi all’interno dei nostri confini scelgono di fuggire all’estero in cerca di opportunità migliori. La politica che ci siamo costruiti in questi ultimi decenni ha portato non solo alla fuga di cervelli, ma conseguenze devastanti sul tessuto economico, sociale e culturale del Paese.

In tutto questo, l’Italia sembra essere in fase di liquidazione, come se il nostro Paese stesse perdendo progressivamente la propria identità per lasciare il passo a interessi stranieri e a un modello di società sempre più anziana e dipendente. È il momento di riflettere sul nostro futuro, di investire nel nostro capitale umano, di incentivare le nascite e di valorizzare le eccellenze italiane, affinché il nostro Paese possa riscoprire la propria identità e ritrovare il cammino della crescita e della sovranità.



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