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Sanità in Italia: tra realtà, confusione e bisogno di chiarezza

Di Virginio Bebber


la questione della sanità italiana rappresenta, come evidente da decenni, un tema centrale nel dibattito pubblico e politico. Tuttavia, troppo spesso questa discussione si riduce a uno scontro ideologico o politico, dove la complessità del sistema viene semplificata o, peggio, distorta. Ciò che manca frequentemente è una corretta informazione, in grado di distinguere tra le diverse componenti del settore e di evidenziare il ruolo che ciascuna di esse riveste nel garantire l’accesso alle cure e la qualità del servizio. E purtroppo a provocare distorsione dell’informazione, o comunque a dare mezze informazioni per tacere quelle considerate scomode, sono tanti “esperti” che criticano ora a destra ora a sinistra, senza neppure sapere bene cosa criticano. O mentono sapendo di mentire. Si crea così tata di quella confusione nella testa della gente, che non sa più con chi prendersela se deve aspettare oltre un anno per avere un consulto medico.

Forse sarà bene ricordare che il servizio sanitario italiano è un sistema complesso che si compone di varie realtà: il servizio pubblico, rappresentato dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN), le strutture private, suddivise a loro volta in diverse categorie, ognuna con caratteristiche proprie e specifici ruoli. Ma se qualcuno osa dire che il nostro sistema salute, per funzionare, ha bisogno di una collaborazione virtuosa e controllata tra sanità pubblica e sanità privata, finisce per essere considerato un nemico della patria. Eppure è proprio nella stanza dei bottoni che tanti si sono ormai resi conto della necessità di puntare sul mix pubblico-privato per soddisfare le necessità di assistenza di tutti i cittadini.

Alla luce di questa evidenza ci chiediamo se sia ancora giusto continuare a demonizzare tout court la sanità privata. Sarà bene intanto rinfrescare la conoscenza tra le diverse figure che la compongono. Generalmente viene definito così il complesso di quelle strutture che, seppure gestite da privati, offrono servizi e assistenza sanitaria al cittadino. Diamo per scontato l’iter che devono seguire per poter esercitare la loro professione. Diverse di queste istituzioni hanno deciso di restare completamente autonome: hanno fatto investimenti privati e naturalmente mirano ad un profitto. Non sono finanziate dal SSN e dunque chi si rivolge a loro, paga di tasca propria. E spesso il costo può essere elevato, stante anche la tecnologia d’avanguardia e la professionalità che mettono in campo. Questi servizi sono fondamentali per chi desidera tempi di attesa più rapidi o servizi specialistici non sempre disponibili nel pubblico. Naturalmente c’è chi può permetterselo e chi no: sarà pure ingiusto ma la disparità sociale certo non nasce dal SSN.

Ci sono poi strutture che hanno deciso di operare non solo come soggetti privati, ma anche offrendo i propri servizi a tutti i cittadini in convenzione con il SSN.  E’ il primo passo di quel sistema di collaborazione tra strutture private e il SSN di cui si va sempre più parlando, nonostante il gracchiare di tante cornacchie. In questo caso, le strutture offrono prestazioni a tariffe stabilite dallo Stato e sono riconosciute ufficialmente come parte integrante del sistema sanitario pubblico. Ma anche tra queste tipologie di strutture esiste una sostanziale differenza: alcune si mantengono fisse sul loro obiettivo naturale, cioè quello di trarre profitto da questa loro attività (for profi), cosa peraltro assolutamente lecita, mentre altrehanno deciso, per statuto, di operaresenza scopo di lucro (“non profit”) . Queste ultime realtà sono quelle a noi associate, per la maggior parte gestite da enti e congregazioni religiose, da enti del Terzo Settore, fondazioni o associazioni, e sono riconosciute sin dalla legge istitutiva del SSN, come parte integrante del sistema pubblico, con gli stessi diritti e gli stessi doveri.

Spesso i media e il dibattito pubblico confondono, ignorano o fanno finta di ignorare queste fondamentali differenze, contribuendo a diffondere informazioni fuorvianti. Resta il fatto che la percezione diffusa è che tutta la sanità privata sia “una minaccia” al sistema pubblico, anzi addirittura causa del suo fallimento. Forse hanno dimenticato troppo in fretta che durante l’emergenza Covid 19 molte strutture private convenzionate non profit sono state fondamentali per alleggerire il carico sul pubblico, offrendo servizi essenziali e contribuendo a mantenere un livello di assistenza elevato. La nostra presenza ha permesso di aumentare la capacità di risposta.

Oggi siamo in grado di alleggerire le liste di attesa, che rappresentano uno dei principali problemi del sistema sanitario italiano. Le nostre strutture convenzionate e non profit in Italia dispongono di oltre 35.000 posti letto, offrono più di 5 milioni di prestazioni ambulatoriali all’anno e rappresentano la maggior parte dei centri di riabilitazione nel Paese. Se tutte dovessero sparire, dove finirebbero i 35 mila malati che trovano un letto nelle nostre strutture? E i diversamente abili accolti e seguiti dai Cdr, che sono la maggior parte di quelli attivi in Italia, resterebbero sulle strade? E quegli oltre 5 milioni di malati che, pagando solo il tiket, si rivolgono annualmente ai nostri ambulatori quanto andrebbero a pesare sulle già gravate liste d’attesa? E tutti gli anziani non autosufficienti e pluripatologici ospiti delle RSA da chi sarebberoassistiti se dovessero sparire queste strutture come tanti sostengono?

Uno scenario non tanto lontano se si considera quante di queste nostre strutture hanno già chiuso i battenti e il rischio reale di seguire la stessa strada che stanno affrontando altri istituti non più in grado di sostenere da soli i costi di gestione alle condizioni imposte.  E parliamo solo di una fetta della sanità privata convenzionata, quella Associata all’ARIS, non profit.

Il punto cruciale riguarda proprio le tariffe, che non sono aggiornate in linea con l’inflazione e soprattutto con il costante aumento dei costi di gestione. E’ proprio questa situazione che mette in difficoltà molte nostre istituzioni non profit. In pochi sanno che, tanto per fare un esempio, un posto letto in una di queste nostre opere, alle casse dello Stato costa il 30/40% di meno di quanto costa un posto letto negli ospedali pubblici. E si consideri anche il fatto che mentre è lo Stato a coprire i milionari deficit di gestione delle strutture pubbliche, ripianando i buchi di bilancio annuale con fondi pubblici, le strutture private convenzionate devono provvedere da sole. 

Ecco perché auspichiamo che il dibattito sulla sanità abbandoni i teatrini politici (l’agone politico lo ha definito Schillaci) e si basi piuttosto su dati corretti e su una reale comprensione delle diverse componenti del sistema. Invece di attaccare o demonizzare un settore che, se ben regolamentato e valorizzato, può essere un alleato prezioso per la salute dei cittadini, bisognerebbe promuovere un confronto responsabile e informato, che tenga conto delle peculiarità e delle esigenze di un sistema sanitario complesso e in continua evoluzione.

La questione, quindi, è più profonda di come la si discute nei corridoi della politica. Il problema non è e non può essere l'esistenza della sanità privata convenzionata; piuttosto è la gestione complessiva del sistema, la distribuzione delle risorse, le politiche di integrazione tra pubblico e privato. Sarebbe fondamentale trovare un equilibrio che permetta di mantenere alta la qualità e l'accessibilità universale, senza continuare a far credere alla gente che sia la partecipazione del privato convenzionato a compromettere la sostenibilità e la missione del Servizio Sanitario Nazionale.

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