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Acli-Con l'autonomia crescono le diseguaglianze, il governo non divida l'Italia in due

"L'approvazione dell'autonomia differenziata modificherebbe l'assetto istituzionale e costituzionale di questo Paese, ma anche il nostro modello sociale". Sono le Acli a sostenerlo col vicepresidente nazionale, Antonio Russo, portavoce di “Alleanza contro la povertà”, all'apertura della Conferenza Nazionale di Coesione Territoriale, organizzata il 25 marzo a Napoli dall'Associazione dei lavoratori cristiani.

"Le Acli per la loro storia si sentono chiamati a difendere la Costituzione che abbiamo contribuito a scrivere 80 anni fa. Con la riforma a regime avverte Russo -, l'Italia tornerebbe al feudalesimo e questo causerebbe la fine dello stato unitario. Un sogno secessionista da cui nasceranno 21 stati-regioni con 23 materie di competenza legislativa esclusiva, tra cui la scuola, i trasporti, le infrastrutture, la sanità. Ci sarebbe anche la possibilità di realizzare macro regioni: una specie di Brexit in salsa italiana. Siamo di fronte ad un regionalismo divisivo, concorrente e competitivo. Il vero tema è il federalismo fiscale grazie al quale si potrebbe realizzare una forma esasperata di darwinismo istituzionale, dove resiste chi ha un gettito fiscale superiore. A riforma ultimata Il 33% del gettito fiscale nazionale andrebbe a Lombardia e Veneto".

"Il rischio è che – puntualizza il vice presidente della Acli - il principio iscritto nella Costituzione, che agevola la realizzazione di un regionalismo solidale, si trasformi in un processo che legittima il separatismo. È una riforma che, come avrebbe detto don Milani, fa parti uguali tra diseguali. Noi auspichiamo che ci sia un movimento civico di forte opposizione a questa legge. Rivolgiamo un appello a tutte le forze politiche del Governo: per favore fermatevi, non commettete questo errore". Per Giovanna De Minico, docente di diritto costituzionale all'Università Federico II di Napoli, la riforma sull'autonomia presenta un rischio di incostituzionalità: "Il disegno di legge Calderoli, già approvato al Senato, dimentica due valori: quello persona e quello dello Stato, inteso in una accezione di solidarietà. Il regionalismo pensato dai nostri padri costituzionali era di tipo cooperativo; questo nuovo regionalismo è invece di tipo competitivo. Se si differenzia a vantaggio delle regioni che lo chiedono, rimane poco per i livelli essenziali delle prestazioni, che rappresentano i nostri diritti sociali, dall'istruzione alla sanità. Per questo il Costituente ha stabilito che devono restare nelle mani del Parlamento. I lep misurano il grado di democraticità di una nazione: lo stato è più democratico quanto meno persone lascia indietro...”. 

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