Ancora deve entrare in pieno vigore la legge sull’Autonomia Differenziata che già iniziano le prime controversie tra Governo e Regioni. Oggetto del primo scontro, neppure e dirlo, il Dl Liste d’attesa. Già nel corso delle audizioni in Commissione (come abbiamo comunicato attraverso il nostro sito il 3 luglio scorso) rappresentanti delle Regioni avevano manifestato la loro contrarietà al Dl. In particolare avevano messo sotto accusa l’articolo 2 nel quale si prevede il controllo diretto del Governo sulle attività delle ASL. Ora, all’indomani della riunione della Conferenza Stato-Regioni, diventa ufficiale il parere negativo delle Regioni al decreto liste d'attesa, attualmente all'esame della commissione Sanità del Senato. Unico voto a favore è stato quello del Lazio.
Le Regioni sottolineano quanto sia per loro "imprescindibile" lo stralcio dell’articolo 2 e la sua riscrittura con le modifiche da loro richieste. Ma dal Ministero della Salute è arrivato un secco "no".
L’accusa delle regioni si riferisce in particolare alla formulazione dell'articolo, definita "quanto meno lesiva del principio di leale collaborazione, laddove prevede che a fronte delle segnalazioni di cittadini, enti locali ed associazioni di categoria (che dovrebbero essere innanzitutto trasmesse alle Regioni interessate) l’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria possa accedere presso le Aziende sanitarie, scavalcando le Regioni e le Province Autonome, anche avvalendosi del supporto del Comando Carabinieri per la tutela della salute (anziché delle Regioni stesse)".
Le Regioni sono pronte ad invocare “l’illegittimità costituzionale" e considerano quantomeno necessaria una "riscrittura condivisa di questo articolo che, nel prevedere lo svolgimento dei monitoraggi e dei controlli delle prestazioni sanitarie sulla base di dati raccolti nella Piattaforma nazionale delle liste di attesa di cui all’articolo 1, abbia un chiaro riferimento nella collaborazione interistituzionale e nel rispetto delle rispettive competenze istituzionali: lo Stato controlla le Regioni, le Regioni controllano le Aziende sanitarie e si confrontano con il livello ministeriale. Non è condivisibile che gli esiti delle verifiche costituiscano elementi di valutazione del Ministero della Salute ai fini dell’applicazione di misure sanzionatorie e premiali nei confronti dei responsabili regionali o aziendali, inclusa la revoca o il rinnovo dell’incarico in quanto tale valutazione rientra nelle competenze regionali".
Altra contestazione riguarda “la scarsa disponibilità di congrue risorse economico-finanziarie aggiuntive e di adeguate risorse umane". Effettivamente come fanno notare le Regioni, “l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati, l’assunzione di personale ed il ricorso alle prestazioni aggiuntive, lo svolgimento di attività sanitaria in orario notturno, prefestivo e festivo, gli indispensabili adeguamenti tecnologici e gli aggiornamenti informatici, necessitano di un’adeguata disponibilità di risorse economiche e di personale”. “È necessario – si legge nel documento diffuso dalle regioni - procedere alla quantificazione dei maggiori oneri attesi, all’esplicitazione delle risorse disponibili a legislazione vigente ed al reperimento delle risorse eventualmente mancanti".
Per le Regioni si deve infatti considerare che le risorse per il recupero delle liste d'attesa contenute nella manovra "potrebbero essere già state utilizzate per l’attuazione dei propri Piani regionali e provinciali di contenimento dei tempi di attesa, nel qual caso il Decreto sarebbe privo di qualunque finanziamento".
Le Regioni, anche quelle stimate tra le più virtuose, “non sono – lamentano nel Documento - nelle condizioni di finanziare il costo di misure ed interventi aggiuntivi, seppur condivisi per la finalità, poiché il Fondo Sanitario Nazionale è già largamente insufficiente”. E in più è notorio che il livello di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale è ampiamente sottodimensionato, rispetto a quello dei principali Paesi europei, e sta determinando serie difficoltà in tutto il Paese.
Da ultimo, la mannaia delle Regioni cade sull’art. 5 che riguarda il superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario, introducendo però "limitate ed insufficienti novità per l’anno in corso e poche novità anche per l’anno 2025, peraltro condizionate alla definizione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli Enti del Ssn ed alla conseguente approvazione del Piano dei fabbisogni triennali regionali del personale". Una metodologia ritenuta "priva di reale efficacia” perché si prevede che la sua adozione avvenga comunque “in coerenza con i valori di cui al comma 1” dello stesso articolo 5, vale a dire nell’ambito degli attuali tetti di spesa per il personale. Peraltro, trattandosi di una misura organizzativa in attuazione di una metodologia ministeriale, la prevista approvazione da parte del Ministero della Salute appare invasiva delle competenze regionali".