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Personalizzare e umanizzare

Per testimoniare le ragioni del nostro agire


Con la parola mantra, nella traduzione che ne facciamo noi occidentali, si evocano sia la corrispondente pratica meditativa che i pensieri di protezione, rassicurazione e sottile sintonizzazione che ne derivano.

La ripetizione di un concetto d’altronde, lo sappiamo, lo rafforza, lo rende, o almeno lo fa sembrare, più vero. E del mantra, sappiamo anche questo, non è importante solo il significato della singola parola o della frase da ripetere, è anche il suono a essere rilevante.

Ci raccontiamo spesso, per esempio, a proposito di suoni familiari, quanto sia importante personalizzare e umanizzare le nostre Opere. Dove per Opere intendiamo i nostri Presidi ma anche le tante attività che vi realizziamo. Personalizzare e umanizzare, attesa la specificità e la particolare delicatezza che richiedono i servizi che offriamo in ragione della speciale fragilità delle persone di cui ci prendiamo cura.

Personalizzare e umanizzare, per testimoniare le ragioni del nostro agire, in ultima istanza.

L’osservazione delle nostre realtà ci dice però che la declinazione rassicurante di pur ottimi obiettivi è vana se non si abbinano a essa, concretamente, strumenti culturali e formativi, iniziative organizzative e di governance: far corrispondere azioni e risultati agli obiettivi è faticoso e complicato.

Senza strumenti di orientamento il risultato è lasciato alla buona volontà delle persone migliori e a quanto esse trovano da sole spazio nei punti cruciali dell’organizzazione.  

Proviamo allora a immaginare un percorso, organizzativo e di azione, che renda effettivi i nostri obiettivi.

Il Codice Etico, per esempio, non è solo lo strumento per l’affermazione “su carta” dei valori morali e di trasparenza nei quali l’ente si riconosce, se interiorizzato e realmente condiviso può essere anche la guida, il manuale, per orientare davvero la nostra azione istituzionale.

Proviamo a essere ancora più ambiziosi.

Immaginiamo un flusso circolare che muova dalla declinazione di obiettivi e valori, individui successivamente strumenti operativi per renderli concreti e stabilisca infine presidi di controllo e di verifica (interni ed esterni) che consentano di misurare i risultati per – se del caso – costantemente migliorare, o riorientare, anche gli obiettivi.

Un ottimo modo per farlo è cercare di tenere insieme tematiche valoriali (codice etico), di compliance (revisione, decreto legislativo n. 231/2001, ecc.) e di responsabilità sociale e sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Standard Directive, Direttiva UE 2022/2464).

Avremo anzitutto vantaggi competitivi: realtà etiche, rispettose delle regole, responsabili e sostenibili attraggono certamente più utenti/clienti e investitori/sostenitori, perché è crescente la sensibilità collettiva verso questi temi.

Otterremo anche una migliore gestione dei rischi: strategie etiche, responsabili e sostenibili aiutano a identificare e mitigare rischi ambientali e sociali, proteggendo le nostre realtà da potenziali crisi e controversie legali.

I benefici si estenderanno anche all’efficienza operativa.

Pratiche e protocolli eticamente orientati, responsabili e sostenibili portano poi necessariamente anche una maggiore efficienza, riducendo i costi operativi attraverso un miglior uso delle risorse e la riduzione degli sprechi.

La prospettiva reputazionale ne beneficerà a sua volta: strategie etiche, responsabili e sostenibili migliorano la reputazione aziendale e costruiscono/consolidano relazioni di fiducia presso gli interlocutori istituzionali i dipendenti e gli altri stakeholder.

Ma non solo, anche l’esigenza di conformità normativa sarà inevitabilmente potenziata: sappiamo tutti quanto, a tutti i livelli, le normative stiano diventando più esigenti e stringenti, anche con riguardo ai presidi di compliance e sostenibilità. Essere proattivi su questo fronte aiuta senz’altro a garantire la conformità (anche in una prospettiva di autocontrollo) e a evitare sanzioni.

Prendiamo a esempio il caso del Modello 231 con particolare riguardo alle strutture sanitarie convenzionate. Oltre alla necessaria parte descrittiva, la parte più importante del Modello è quella costituita dalle parti speciali, definite in base ai principali reati alla cui commissione le aziende sanitarie convenzionate possono essere esposte; con articolazione per processo, attività sensibile o per tipi di presidi preventivi adottati.

Ne è consapevole il Consiglio Nazionale dei Commercialisti che ha recentemente emanato un documento di ricerca denominato “(il) modello di organizzazione, gestione e controllo ex d.lgs. 231/2001 per gli enti privati del settore sanitario”.

Leggiamo dalla prefazione: “Il Consiglio nazionale continua a concentrare la propria attenzione su settori economici in cui l’adozione di misure di organizzazione, gestione e controllo rappresenta un’opportunità, ma anche una vera e propria esigenza in un contesto competitivo in cui l’importanza di una compliance integrata è sempre più. In tal senso, quello della sanità privata convenzionata rappresenta uno dei settori maggiormente a rischio, anche in seguito all’emergenza pandemica che, dopo una prima fase convulsa in cui le aziende del sistema sanitario sono state messe sotto pressione, ha imposto una maggiore attenzione all’adozione e all’osservanza di protocolli e procedure organizzative”.

Citiamo ancora: “L’adozione dei modelli organizzativi ex d.lgs. 231/2001, oltre che a una logica di prevenzione dei reati e di limitazione della responsabilità dell’ente, risponde altresì alla necessità di implementazione di adeguati presidi organizzativi e di prevenzione dei rischi – affermano i consiglieri Fabrizio Escheri ed Eliana Quintili –. Il numero di aziende sanitarie che, anche a seguito della pandemia, ha adottato un modello organizzativo è in crescita ed è evidente il ruolo di supporto qualificato che i commercialisti possono ricoprire in tale ambito”.

Quello della sanità privata convenzionata rappresenta d’altronde uno dei settori maggiormente a rischio, anche in seguito all’emergenza pandemica che, dopo una prima fase convulsa in cui le aziende del sistema sanitario sono state messe sotto pressione, ha imposto alle stesse una maggiore attenzione rispetto all’adozione e all’osservanza di protocolli e procedure organizzative. Nel quadro che si è delineato, l’adozione dei modelli organizzativi ex d.lgs. 231/2001, oltre che a una logica di prevenzione dei reati e di limitazione della responsabilità dell’ente, risponde altresì alla necessità di implementazione di adeguati presidi organizzativi e di prevenzione dei rischi. Il numero di aziende sanitarie che, anche a seguito della pandemia, hanno adottato un modello organizzativo è in crescita.

Anche sul tema della sostenibilità, riteniamo, avremo molte occasioni per fare meglio.

I bilanci di sostenibilità consentiranno di esprimere il vero volto delle nostre realtà con modalità tridimensionali: economiche, imprenditoriali (a definitiva risoluzione dell’equivoco sul no o non profit, speriamo) e sociali.

I bilanci economici descrivono infatti il primo volto mentre quelli di sostenibilità sono chiamati ad esprimere la capacità strategica nel gestire le filiere produttive e distributive di beni e servizi. Sono la base necessaria per parlare di benefici sociali misurabili in termini di quantità e qualità occupazionale, radicamento nel tessuto sociale, benefici diretti e indiretti per le comunità di riferimento. Oggi l’innovazione sociale non può accontentarsi dell’innovazione tecnologica di prodotto/servizio.

I 30 banchieri centrali hanno sintetizzato questa sfida nel rapporto “Rinascere e ristrutturare”. Invitano a considerare le ricadute sociali delle crisi per rileggerle con la lente di ingrandimento della convenienza e del rendimento sociale delle scelte. La chiave di lettura primaria è “sostenibilità” nelle sue diverse dimensioni, dal debito pubblico al debito privato al debito sociale.

Le loro indicazioni emergono dalla domanda “da dove partire?”. La risposta è ripartire dal lavoro e dalla socialità incoraggiando l’ecologizzazione delle produzioni, la condivisione del rischio tra tutte le parti interessate, con strategie di sostenibilità economica e sociale, diritti e doveri, solidarietà e sviluppo, cioè bilanciamenti virtuosi tra valore economico e sociale.

I bilanci di sostenibilità sono in sostanza chiamati a valutare queste capacità in termini di costo/efficacia economica e sociale. Sono in sostanza chiamati a rendere visibili e apprezzabili le qualità dei prodotti e dei processi, verificando la distribuzione dei risultati lungo la «catena del valore» che va dall’io al noi, mettendo in piena luce le esternalità sociali e i benefici per tutte le parti interessate.

Conviene incamminarsi su questa strada in salita?

Noi crediamo di sì e a sostegno citiamo, per esempio, il caso del c.d. green new deal, rispetto al quale Sace (ai sensi dell’art. 64 co. 2 del D.L.16/07/20 n. 76 - Legge di conversione 11/09/2020 n. 120 - Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale) è autorizzata a rilasciare garanzie.

Cosa è un investimento sostenibile, d’altronde? L’investimento sostenibile è quello che ha l'obiettivo di creare valore per l'investitore e per la società nel suo complesso attraverso una strategia orientata al medio lungo periodo e integra l'analisi finanziaria, quella ambientale, quella sociale e del buon governo.

Se vogliamo fare parte del futuro queste devono essere anche le nostre sfide.

Luigi Corbella



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